Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

Dipartimento del Tesoro

Conta così tanto il dg del Mef? Sì. Storia e poteri della casella che più ingolosisce Meloni & co

Stefano Cingolani

È il fiduciario del ministro dell'Economia, che controlla mezza Borsa italiana. La premier vuole separare le finanze (ora affidate a Maurizio Leo). Sarebbe il momento di rivedere il rapporto stato-mercato, ma per ora è pronta solo la lista degli amici

Basta entrare sul sito del Mef e sullo schermo appare il Dipartimento del Tesoro, conosciuto in burocratese come DT. Se si aggiunge >direttore generale ecco apparire Alessandro Rivera, la pietra dello scandalo, il grande ostacolo per conquistare la casella più importante nell’intera scacchiera della burocrazia pubblica. Rivera è stato nominato il 2 agosto 2018 dal governo rosso-verde guidato da Giuseppe Conte, cioè quell’ircocervo populista che non ha dato grande prova di sé. A sceglierlo è stato Giovanni Tria, allora ministro, attingendo alle risorse interne alla struttura.

 

Il Mef spiega che “il Direttore Generale del Tesoro si avvale di 8 direzioni, in particolare assicurando: lo svolgimento dell'analisi macro-economica a supporto della formazione del bilancio e la predisposizione dei documenti programmatici del Tesoro; la gestione del debito pubblico interno ed estero; lo sviluppo delle relazioni economiche e finanziare internazionali; lo svolgimento dei compiti di alta vigilanza sul settore creditizio e finanziario; il coordinamento dell’azione di contrasto al finanziamento del terrorismo e al riciclaggio; la gestione delle partecipazioni di proprietà del Tesoro; il coordinamento degli interventi finanziari a favore di enti pubblici e attività produttive; il monitoraggio e la valorizzazione del patrimonio pubblico”.

 

È il direttore generale a rappresentare l’Italia nei gruppi di lavoro e nei comitati internazionali, fa le veci del ministro nelle riunioni G7, G20 e IMF; è membro e vicepresidente dell’Economic and financial committee e membro dell’Euro working group dell’Unione europea; membro del Board of directors dell’European stability mechanism; presiede il Sotto-Comitato dell’Economic and financial committee per le questioni relative al Fondo monetario internazionale. Ha nelle sue mani il bilancio dello stato, dal lato della spesa (controllata dalla Ragioneria generale) e del flusso delle entrate, anche se i suoi margini oggi sono più ristretti di un tempo. 

 

Il Tesoro direttamente o attraverso la Cdp controlla imprese industriali e finanziarie che rappresentano una gran parte della capitalizzazione di borsa; facendo un conto approssimativo valgono circa 120 miliardi di euro. In cima alla lista Eni, Enel, Terna, Leonardo, Monte dei Paschi di Siena. Il direttore generale, dunque, è anche membro del consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti e del Supervisory board di STMicroelectronics”. Se volessimo usare una terminologia capitalistica (absit iniuria verbis) dovremmo dire che il ministro dell’Economia è in ultima istanza il patron di mezza borsa italiana e il direttore generale il suo fiduciario, quindi il rappresentante dell’azionista di riferimento.

 

Non sta a lui gestire le singole imprese quotate, spetta ai top manager i quali, tuttavia, sono comunque scelti e nominati dal Tesoro. È proprio in questa veste che sulla testa di Rivera sono piovute le pietre lanciate dalla destra. Ha subito il voltafaccia di Andrea Orcel, il big boss di Unicredit al quale era stato offerto il Montepaschi. Ha pasticciato con Ita (prima il fondo americano Certares cavallo di Troia dell’Air France, poi la Lufthansa con Msc, di nuovo Certares, e ancora Lufthansa da sola). Ha fatto da spettatore all’ingorgo di Tim e della rete unica (la Cdp è azionista rilevante). L’Ilva è ancora in un cul de sac tra magistrati, sindacati, sindaci, azionisti indiani, ambientalisti italiani, luddisti tarantini. E così via, più tempo Rivera resta a palazzo Sella più pecche gli saranno trovate. 

 

L’espansione dei poteri e delle funzioni risale alla metà degli anni Novanta quando prima il ministero delle partecipazioni statali poi quelli del bilancio e delle finanze vennero accorpati nel superministero dell’Economia. Giorgia Meloni vorrebbe separare di nuovo le finanze, ma è una operazione lunga, complessa, persino rischiosa, nel frattempo le ha affidate a Maurizio Leo responsabile economico di Fratelli d’Italia. Nella lista dei direttori generali ci sono personalità di primo piano dentro la pubblica amministrazioni ed economisti di chiara fama, come Mario Sarcinelli, Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, tuttavia il più influente e potente è stato Mario Draghi.

 

Nominato nel 1991 da Guido Carli ha lasciato dieci anni dopo con l’arrivo di Giulio Tremonti, ha gestito la grande ritirata del capitalismo di stato e la privatizzazione delle banche, ha riformato la finanza e la governance delle società con il Testo unico chiamato comunemente “legge Draghi”. A vent’anni di distanza è arrivato il momento di rimettere mano al rapporto tra stato e mercato, ma anziché discutere di chi potrebbe farlo si compila la lista degli amici.