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la storia

Il colore dei soldi. Indagine sul denaro e sulla sua dialettica millenaria

Stefano Cingolani

Stabile o mutevole? In mano allo stato o al mercato? Sembra una magia, la moneta: il mistero che l’avvolge alimenta le bizzarre dichiarazioni di una certa politica sulle banche

La lira venne al mondo come moneta fantasma, la cosa curiosa è che rimase fantasma per quasi mille anni. Come stupirsi se “in fatto di monete le cose sono molto oscure: esse crescono e diminuiscono di valore e non si sa cosa fare; quando si pensa di guadagnare, si trova il contrario”, diceva nell’autunno del medioevo il buon abate di Tournai, Gilles Li Muisis. Lo ricorda il grande storico francese Marc Bloch. Fantasmi e misteri restano ancor oggi quei tondini di metallo o quei pezzi di carta grazie ai quali si è ricchi o poveri, per non parlare di bitcoin e di tutte le diavolerie dell’universo digitale. Non prendiamocela, dunque, con il buon Giovanbattista Fazzolari se mescola carta di debito e carta moneta o se sostiene che vale solo la banconota dalla Bce. In fondo la pensa come il re di Francia Luigi IX, il re santo: nel 1266 decretò che la valuta del monarca aveva corso in tutto il regno, quella dei signori solo nelle loro terre. In mano al sovrano fu messo un potere dall’enorme portata che suscitò molto presto veri e propri conflitti con la nuova classe dei mercanti, i quali a lungo avevano usato le merci come monete: il sale, il pepe (i tedeschi chiamavano pepaioli i banchieri), persino la cocciniglia. Sei secoli dopo l’Inghilterra della rivoluzione industriale si divise tra la scuola metallica (l’espansione della moneta deriva dalla banca centrale) e la scuola bancaria (la moneta è generata dal credito per finanziare i commerci). Oggi i commercianti sono davvero con San Luigi come pretende il governo Meloni?

Moneta dall’alto e moneta dal basso, stato e mercato, una dialettica millenaria. Costantino introdusse il solidus aureo per soppiantare la valuta in argento che aveva favorito l’inflazione nel regno di Diocleziano, il primo a imporre un blocco dei prezzi che già allora fu un fallimento. Il solidus accompagna il declino dell’impero d’occidente e dura fino a Carlo Magno, il quale immette il denario: 240 pezzi per ogni libbra di argento. E a questo punto si materializza il fantasma della lira la quale, racconta Carlo Maria Cipolla, “nacque come pura unità ideale di conto. La gente cominciò a parlare di lire, a trattare e vendere lire senza che alcuno avesse mai visto o toccato una lira in forma di moneta. Siccome da una libbra di argento la gente otteneva alla zecca 240 denari, invece di dire 240 denari si preferiva dire una lira”. Dalla Toscana all’Inghilterra, divenne la moneta unica europea, anche se si diversificò in tante lire locali. In Gran Bretagna troviamo gli stessi sottomultipli di allora: una lira sterlina (un pound, cioè una libbra) è uguale a 20 scellini (soldi) e 240 penny (denari). Le monete bizantine e quelle arabe rimasero entrambe dominanti da Napoli alla Sicilia, il sud fu tagliato fuori dal nord dell’Italia e del continente, anche questo aiuta a spiegare un divario che affonda nel passato.

Nata spontaneamente come unità di conto, per essere tale la moneta va accettata come mezzo di pagamento, ma è nello stesso tempo riserva di valore utilizzata anche per motivi speculativi. Queste caratteristiche possono entrare in contraddizione tra loro e allora arriva l’autorità esterna. Di riforme monetarie è piena la storia, ma la grande rivoluzione viene non dai decreti degli stati nazione, ma dalla scoperta dell’America. L’argento messicano e l’oro del Brasile sembrano risolvere uno dei problemi più seri, cioè la scarsità dell’offerta nella base metallica, ma l’argento prodotto in quantità più elevate si svilisce rispetto all’oro. Le conseguenze sono economiche, finanziarie, geopolitiche: “Si sono rese padrone del commercio quattro nazioni: inglese, olandese, francese e genovese”, scriveva Francesco Marchiori, maestro della zecca veneta. L’Illuminismo sviluppa una vera e propria teoria monetarista che punta a stabilizzare la parità metallica, controllare la quantità in circolazione della moneta piccola e stabilire un esatto rapporto fra i metalli intrinseci, così da avere dei rapporti di cambio chiari e semplici. In Italia Cesare Beccaria dà un contributo importante, in Inghilterra Isaac Newton riorganizza la zecca, ma nessuno scopre la formula magica. E il disordine nel tempio della finanza continua a crescere, nonostante la diffusione delle banche centrali a Londra, ad Amsterdam, a Stoccolma dove si stampano i primi biglietti di banca. L’affermarsi del capitalismo si accompagna alla espansione della moneta fiduciaria e alla moltiplicazione dei mezzi di pagamento: l’aumento degli scambi e la rigidità dell’offerta di metalli rende sempre più necessario ricorrere alle invenzioni italiane: la cambiale, la moneta scritturale, l’assegno. Ma chi garantisce e come? La moneta, così, conduce al ruolo dello stato. Ma attenzione, maneggiare con cura, “la moneta non è un meccanismo; è una istituzione umana, una delle più notevoli”, ha scritto il premio Nobel per l’economia John Hicks. 

Rivoluzioni e controrivoluzioni politiche s’accompagnano alle trasformazioni monetarie. Nel 1795 con la fine del Terrore in Francia entra in circolazione il franco basato sul bimetallismo e codificato nel 1803. Il secolo dell’egemonia britannica mette al centro la sterlina mentre muove i primi passi il dollaro americano il cui nome deriva dal tallero tedesco. Nasce un nuovo allineamento tra stato e mercato, tra potenza politico-militare e potenza economico-monetaria, mentre la diffusione degli scambi in quella che è stata chiamata la prima globalizzazione dell’èra moderna (1870-1914) sollecita nuove funzioni e genera nuova instabilità con l’avvento della domanda di moneta per ragioni precauzionali e speculative. Negli Stati Uniti, durante la guerra civile coesistevano tre diversi sistemi monetari: il dollaro confederato dipendente dal cotone (crollato già prima della sconfitta), il dollaro dell’ovest ancorato all’oro (ha continuato a circolare in realtà fino alla nascita della Fed nel 1913), il dollaro cartaceo, il greenback emesso da Lincoln nel 1861 e legato al dollaro spagnolo, ovvero il peso d’argento da otto reales che era stato fin dall’inizio il punto di riferimento ed aveva mantenuto corso legale fino all’emissione dell’atto del Congresso che abolì la pratica nel 1857.

Una convergenza tra politica e mercato emerge nel 1971 con il collasso del sistema monetario fondato sul rapporto fisso tra dollaro e oro, nato a Bretton Woods nel 1944. L’inflazione americana gonfiata dalle politiche sociali di Lyndon Johnson, dall’eccesso di spese militari, dal boom economico e dalla disastrosa guerra in Vietnam, spinge Richard Nixon a spezzare ogni rapporto con il metallo giallo e a far fluttuare liberamente il biglietto verde. E’ la vittoria di Milton Friedman che raggiunge il culmine con il big bang del 1987 e la globalizzazione finanziaria che sposta l’attività di finanziamento dai crediti ai titoli negoziabili. La moneta si muove senza vincoli esterni, irrora l’economia, preme sui governi, trasforma il mestiere delle banche che diventano soprattutto garanti della solvibilità di chi emette titoli. I rischi per loro non cambiano, ma è più difficile individuarli e misurarne l’intensità: così è maturata la grande crisi finanziaria del 2008 che ha chiamato in causa in modo massiccio le banche centrali. 

Quante monete ci sono oggi? Siamo arrivati per ora a sette livelli diversi, con la diffusione della moneta digitale (non il bancomat ma quella diavoleria delle criptovalute) ci saranno M8 e altri ancora. M1 è l’aggregato base che comprende solo banconote e monete in circolazione, l’unico che interessa a Fazzolari, poi c’è M2 che si estende ai depositi a breve, di M3 fanno parte le quote o partecipazioni nei fondi comuni monetari, le operazioni pronti contro termine e le obbligazioni bancarie con scadenza fino a due anni. Ma ogni tentativo di incasellare l’offerta di moneta e metterla sotto controllo dura lo spazio di un mattino. 

Negli ultimi dieci anni siamo vissuti nell’èra dell’abbondanza. Da una parte ha favorito un boom della borsa come poche volte nella storia finanziaria recente, ha creato un ambiente favorevole alla crescita e all’innovazione tecnologica anche nel mondo della moneta, ha ripristinato sul piano geopolitico un primato del dollaro sia pure sempre più come primus inter pares. La lotta al Covid-19 ha aggiunto moneta a moneta, ampliando a dismisura i debiti pubblici. Tutto ciò, più i colli di bottiglia nelle forniture, la pressione delle materie prime e l’invasione dell’Ucraina con la crisi del gas, ha alimentato l’inflazione. Mentre un nuovo spettro s’aggira per i mercati, quello dei cyber-crack. Il fallimento di Ftx scopre gli altarini e porta in primo piano gli imbrogli che si celano dietro piattaforme digitali dai nomi fantasiosi. Potrebbe diventare come la Lehman Brothers innescando un crollo generale, e si invoca come sempre un deus ex machina. Il bitcoin ha aperto la strada e in questi 13 anni, da quando Satoshi Nakamoto e Wladimir van der Laan hanno messo al mondo la loro creatura virtuale, grandi imprese come la Tesla, fondi d’investimento, singoli risparmiatori si sono gettati avidamente nel nuovo casinò. El Salvador sta sperimentando bitcoin con corso legale, la Cina e gli Stati Uniti hanno trovato un nuovo campo di battaglia, le banche centrali lavorano a loro versioni sotto controllo, l’Unione europea vuole una regolamentazione, ça va sans dire. Paul Krugman è tra quelli che non demonizzano: è una innovazione che sta uscendo dal bozzolo e deve maturare, “l’ecosistema crypto si è sostanzialmente evoluto esattamente in ciò che avrebbe dovuto sostituire, cioè un sistema di intermediari la cui capacità di operare dipende dalla loro affidabilità percepita”. Le tempeste arriveranno, ma saranno crisi di crescita e Krugman porta l’esempio del crac delle dotcom nel 2000 che servì a far pulizia. 

Siamo in pieno disordine monetario o è la ricaduta di un’altra innovazione? L’ordine per lo più si è accompagnato all’egemonia economica di una potenza, l’ordine della sterlina è durato circa un secolo, l’ordine del dollaro appena 27 anni. Finché dal primo gennaio 2002 l’Unione europea ha varato il proprio ordine regionale in risposta alla crisi valutaria che dieci anni prima aveva travolto il sistema monetario precedente. Per evitare il rischio che l’instabilità politica si sommi all’incertezza economica, durante la crisi finanziaria del 2008-2010 è riemerso il “barbarico relitto”, come lo aveva chiamato John Maynard Keynes, cioè il tallone aureo, o più in generale uno stabilizzatore automatico, un primo motore immobile del sistema. Il dilemma si ripete soprattutto nei cicli ricorrenti di indebolimento della valuta, quando quella cattiva scaccia quella buona e si realizza la legge enunciata nel 1551 dall’agente di cambio inglese John Gresham (ma i dotti dicono che si trovava già nel De Moneta, trattato scritto nel 1360 da Nicola di Oresme, vescovo di Lisieux). La moneta deve essere stabile o mutevole? Stabile secondo la scuola francese (Jacques Rueff, gran consigliere di Charles de Gaulle, era un fan dell’oro), mutevole secondo David Hume. “L’oro è del popolo, non delle banche” sentenziava Giorgia Meloni nel 2019, ma prima di lei erano stati i grillini a recarsi in delegazione in via Nazionale per toccare con mano i lingotti depositati nella Banca d’Italia. Volevano impegnarli a garanzia del reddito di cittadinanza. All’idea di quel metallo portentoso onnipossente, le menti diventano vulcani.

Un sistema lasciato al libero contrasto degli elementi ripropone anche la voglia di una “moneta universale”. Il concetto venne introdotto nel 1588 da Bernardo Davanzati nel suo Discorso sulla moneta, presentato all’accademia di Firenze, e venne ripreso da François Nicolas Mollien, ministro delle Finanze di Napoleone anche se da quel sappiamo non aveva letto il mercante e letterato fiorentino. Da molte parti, a ogni stormir di fronde, si evoca l’esigenza di una nuova Bretton Woods. Sarebbe una rivincita del Bancor proposto da John Maynard Keynes: era una moneta dall’alto, artificiale, anzi artificiosa, sconfitta dal primato, politico e militare prima ancora che economico, del dollaro. Sono cinque oggi le principali valute ufficiali: dollaro, euro, yen, yuan, sterlina. Il biglietto verde domina ampiamente nell’esoterico mondo della pura finanza e resta il numero uno negli scambi mercantili. Poi c’è tutto il resto.

Fantasmi, misteri e, naturalmente complotti. E’ passato di moda, ma imperversava alle feste di Atreju la polemica sul signoraggio, cioè quel che la Banca centrale guadagna emettendo moneta. Se ne è occupata nel 2007 anche la Corte costituzionale che ne ha sentenziato la legittimità. La Banca d’Italia pubblica nel suo sito tutta la storia fin dal medioevo, ma la sindrome si ripresenta in tutte le polemiche contro i bankster che accomunano la destra sociale meloniana e la sinistra radicale. Le crisi chiamano in causa le banche centrali, è stato così a fine Ottocento, nel 1913 quando nacque la Federal Reserve negli Stati Uniti, negli anni 30 del secolo scorso, negli anni 70, nel 1992, nel 2008, con la pandemia. Allora i banchieri diventano gli angeli della salvezza per poi essere ricacciati tra i vampiri che s’abbeverano con il sangue dei poveri e delle nazioni. Osannati e disprezzati, Guido Carli amava paragonarsi a un San Sebastiano trafitto da ogni lato. 

Teneva nel suo studio in via Nazionale una lettera incorniciata, che gli era arrivata da Borgo Bainsizza in provincia di Latina, nel novembre 1962: “Sono una povera ragazza trentaduenne. Faccio da assistente ai miei vecchi genitori… Io mi vergogno, ma vorrei chiederLe se non Le dispiace di essere così buono da mandare qualche soldo per aiutarci… So che la Banca d’Italia può stampare una certa quantità di danaro, dunque se Lei ha un vero cuore nel petto non potrebbe far stampare due milioni in più e mandarmeli?”. Parole che Carli non citava con sufficienza, ma facendo implicitamente eco a Marc Bloch: “I fenomeni monetari son tra i più degni d’attenzione, i più rivelatori, i più carichi di vita, a un tempo barometro di movimenti profondi e cause di non meno formidabili conversioni delle masse”. La loro stessa oscurità “da cosa dipende se non dai molteplici legami con tutti gli aspetti più intimi dell’attività umana”?

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