(foto Ansa)

Contro l'ambientalismo che intossica l'Italia

Claudio Cerasa

Energia, infrastrutture, Pnrr, rinnovabili. L’Italia del futuro corre un grande rischio: ritrovarsi ostaggio dei campioni del conservatorismo, dai Tar alle sovrintendenze. E’ ora di un grande scudo legale contro i professionisti del no

Sul complicato sentiero economico dell’Italia ci sono due ambientalismi tossici che potrebbero presto inquinare gravemente il futuro del nostro paese. Un primo ambientalismo tossico, pericoloso e nocivo, è quello che continua a emergere con chiarezza sul terreno della cosiddetta transizione energetica ed è un ambientalismo, dannoso e autolesionista, ben radicato in quelle sovrintendenze che sarebbe interessante capire se il nuovo ministro della Cultura, San Gennaro Sangiuliano, ha intenzione o no di rivoltare come un calzino. Il percorso che impone all’Italia di lavorare con urgenza a un piano di indipendenza energetica è un percorso all’interno del quale esiste una grave problematica legata alle sovrintendenze dominate da una visione distorta dell’ambientalismo, in base al quale è l’immobilismo l’unica forma di legalità consentita, e proprio l’irresponsabilità delle sovrintendenze ha contribuito negli ultimi anni a rallentare molti progetti energetici legati alle rinnovabili.

In Italia, come si sa, la durata media di un iter autorizzativo, sulle rinnovabili, è di sette anni, contro una media europea che prevede un iter di un anno o al massimo di due anni in casi eccezionali, e il risultato è che il 70 per cento dei progetti rinnovabili è fermo a causa della burocrazia. Accanto a un ambientalismo nocivo che considera ogni modifica paesaggistica un’ingiustificata aggressione contro l’ambiente, anche a costo di non supportare politiche energetiche destinate a migliorare l’ambiente, vi è un’altra forma di ambientalismo ancora più pericolosa, e non meno ideologica, che è quella che minaccia l’Italia del futuro su un altro terreno cruciale: l’implementazione del Pnrr.

 

Sul Foglio di ieri abbiamo dato conto di un’incredibile storia pugliese, un focolaio di estremismo ambientalista, al centro della quale vi è la decisione del Tar della Puglia di annullare l’autorizzazione della regione per la realizzazione di un progetto legato alla nuova rete ferroviaria a sud di Bari (406 milioni di euro, di cui oltre la metà provenienti dal Pnrr). E nel farlo, il Tar offre – come ricordato ieri dal nostro Ermes Antonucci – un ulteriore elemento di preoccupazione, ammettendo candidamente che la cultura del no declinata per via giudiziaria ha ora un prezioso alleato nella Costituzione italiana e riconoscendo che il No al percorso di quella ferrovia nasce “anche alla luce della rilevanza costituzionale attribuita espressamente al bene ambiente dalla novella costituzionale degli articoli 9 e 41 della Costituzione (legge costituzionale n. 1/2022)”.

Gli articoli a cui fa riferimento il Tar della Puglia, passaggio cruciale, sono quelli sciaguratamente modificati nel 2021, all’unanimità, dal precedente Parlamento, e sono quelli in base ai quali si afferma che l’iniziativa economica privata, che per Costituzione dovrebbe essere “libera”, non può svolgersi in modo da recare danno “all’ambiente”. Come era facile prevedere, e come abbiamo già scritto su queste pagine, affermare il principio che ogni iniziativa economica privata non debba arrecare alcun danno all’ambiente significa spalancare la porta a interpretazioni della legge di carattere ideologico e anti industriale. E nel caso specifico, essendo in ballo sia sul fronte energetico sia su quello infrastrutturale impegni importanti, legati a progetti associati a tempistiche stringenti e non negoziabili direttamente correlati all’attuazione del Pnrr, è evidente che uno dei problemi con cui dovrà fare i conti nei prossimi mesi la Meloni Associati sarà riuscire a gestire un problema non da poco: combattere l’ambientalismo tossico che ha reso l’Italia più vulnerabile sul fronte energetico (nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne produciamo solo 4,5).

 

Combattere l’ambientalismo tossico che cerca di frenare i progetti legati al Pnrr (la Puglia è solo la punta di un iceberg), combattere l’ambientalismo tossico che sta cercando di renderci meno indipendenti dal gas russo (chiedere a Meloni di che partito è il sindaco di Piombino che ha fatto ricorso al Tar contro il rigassificatore), combattere l’ambientalismo tossico che grazie a una sciagurata modifica della Costituzione avrà gioco facile nel considerare ogni mutazione paesaggistica un grave affronto per la tutela dell’ambiente (anche il Mose è una mutazione paesaggistica: ops!). Il governo, come previsto dal decreto Semplificazioni del 2021 poi convertito in legge, ha a disposizione, per risolvere eventuali criticità del Pnrr, uno strumento enorme, come quello dei poteri sostitutivi. Ma se i poteri sostitutivi potrebbero non essere sufficienti ci permettiamo di suggerire al governo di provare a utilizzare, per il Pnrr, per le infrastrutture, per la transizione energetica la stessa politica d’urgenza utilizzata per la ricostruzione del ponte Morandi: derogare, a partire dal codice degli appalti, tutte le norme dell’ordinamento italiano, a esclusione di quelle penali, e ponendo come unico paletto, per la realizzazione delle infrastrutture, i princìpi inderogabili dell’Unione europea e quelli costituzionali. Contro l’ambientalismo tossico. Whatever it takes.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.