Foto Ansa

ritratto del ministro

La resistibilile ascesa culturale di Gennaro Sangiuliano

Salvatore Merlo

Dalle idee confuse sull'accesso gratuito ai musei al bonus per il cinema, destinato a esaurirsi in otto giorni. Il ministro ormai rivaleggia con Matteo Salvini per il numero di dichiarazioni quotidiane alla stampa. Nel governo è nata una stella 

Era l’8 novembre. E lui: “Musei gratis? No. L’Italia è fin troppo generosa”. Passano otto giorni. Rieccolo: “Musei gratis? Sì. Non solo la prima domenica del mese, ma pure il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno”. Ma attenzione, passano altri cinque giorni. Oplà. E’ il 20 novembre. Arieccolo: “Musei gratis? Non possiamo che prevedere un aumento del costo del biglietto d’ingresso. Bisogna aumentare la sicurezza per impedire il vandalismo degli ambientalisti, ci saranno spese per mettere il vetro a tutti i quadri”. Quando si dice idee chiare.

Premesso che mettere il vetro a tutte i quadri esposti nei musei italiani finirebbe con l’esporre di conseguenza queste opere d’arte proprio alle manifestazioni degli ambientalisti (che la salsa di pomodoro la buttano specificamente e dichiaratamente soltanto sui quadri difesi dal vetro), non sfugge al cittadino medio che nell’universo della politica italiana, nel governo di Giorgia Meloni, è ormai nata una stella. E che stella. Si chiama Gennaro Sangiuliano, napoletano, sessantenne, giornalista, ex  vicedirettore del Tg1, ex direttore del Tg2 e oggi, per effetto di pressante autocandidatura presso Meloni che voleva liberare un telegiornale, finalmente ministro della Cultura. Perché lo fa? Per nostro grande diletto, si direbbe. Se non parlasse, infatti, non se ne accorgerebbe nessuno. Ma lui ci tiene, a parlare. Così ormai rivaleggia con Matteo Salvini per il numero di dichiarazioni quotidiane alla stampa con le quali riesce a intrattenere il pubblico. Ma a differenza di Salvini, Sangiuliano esercita la propria ubiquità comunicativa anche in quello che si potrebbe definire un meccanismo di autoriproduzione social o di sdoppiamento della social-personalità. Uno, bino e trino. In sostanza Sangiuliano è capace di farsi pure i complimenti da solo. L’altro giorno, per dire, dopo aver pubblicato sul suo profilo Twitter un’intervista al Corriere di Bologna, ci aggiungeva sotto un commento: “Condivido le sue parole”. Sangiuliano condivide Sangiuliano, e si dà pure del lei.  Prolifico e facondo, lamenta che non si fanno film su Pirandello proprio mentre il film italiano di maggior successo del momento è su... Pirandello. Poi invita la Rai a mettere in piedi una fiction sulla trascurata Oriana Fallaci, che tuttavia esiste già dal 2015. E dev’essere proprio vero quel detto che recita così: il potere passa più spesso di mano in mano che di testa in testa. 


Ma Gennaro Sangiuliano è un uomo di cultura, non c’è dubbio. D’altra parte s’era fatto notare da Fratelli d’Italia quando ad aprile, alla conferenza programmatica di Milano, quella con la quale Meloni lanciava la sua scalata al cielo, era salito sul palco spiegando che “il conservatorismo nasce in Svizzera nella Perly Monty Society”. E che questa benedetta “Perly Monty” non sia mai esistita – mentre è esistita la  “Mont Pelerin Society”, l’associazione notoriamente liberale (non conservatrice) –  poco importa. Sono dettagli. Solo gli invidiosi possono parlare di umorismo involontario. A chi d’altronde non capita di confondere Von Hayek con i Monty Python o Heidegger con Checco Zalone? E infatti quelli di Fratelli d’Italia hanno applaudito, quel giorno. E poi giustamente lo hanno fatto subito ministro della Cultura. Ovvio, era il minimo. Ma c’è da dire che Gennaro, detto Genny, aveva già ben arato il terreno anche durante la campagna elettorale, pure con la Lega. Dimostrando ancora una volta, ce ne fosse bisogno, non solo cultura ma anche grande capacità giornalistica. A luglio, sempre da direttore del Tg2, intervistava Matteo Salvini a Milano Marittima. E poco prima di salire sul palco, veniva visto dalle solite iene dattilografe mentre rivolgeva al segretario leghista uno sguardo rattrappito, per non dire disarmato: “Va bene questo non te lo chiedo, e questo nemmeno… Ma che ti chiedo?”. La scena ricordava, ai soliti malevoli, quella di lunedì 4 maggio 2009, quando alla Luiss Gennaro si rivolgeva così a Gianfranco Fini allora strapotente: “Siamo qui con la persona che rappresenta e incarna a cavallo tra due secoli la storia della destra italiana”. Una frase così sonora che persino Fini, uno con una notevole considerazione di sé, s’era imbarazzato. Ma Sangiuliano, impermeabile, praticamente foderato di teflon come una padella antiaderente, insisteva: “Volevo dire che questa è una leadership che è cominciata nel ’900 e andrà avanti ancora per tantissimo tempo, almeno questo è il mio auspicio”. Ebbene, neanche un anno dopo, quando Fini veniva defenestrato da Berlusconi, riecco Sangiuliano che mentre iniziavano le epurazioni dei finiani in Rai firmava questo delicato articolo in prima pagina sul Giornale: “Gianfranco calpesta i valori della destra”. Prima li incarnava a cavallo tra due secoli. Cose che capitano.

Infatti niente potrà mai giustificare la voce indubbiamente calunniosa che lui sia avanzato in Rai, e ora in politica, non già per comprovate capacità, ma per aver fatto una pieghevole carriera nei corridoi dei partiti, tra gorghi di correnti, lobby e fazioni. No. Perché mai Giorgia Meloni avrebbe dovuto scegliere per il ministero della Cultura uno come Pietrangelo Buttafuoco, o Marco Tarchi, o Giordano Bruno Guerri quando aveva tra le mani la pepita Sangiuliano? Uno sulla cui etichetta non è mica scritto “Made in Naples tessuto 100% politicizzato”. Ecco. Solo grandi qualità, si diceva. E  grandi idee. Quelle che lui  ha presto dimostrato con il suo primo decreto. Mutuato da un provvedimento simile già approvato dal suo predecessore Dario Franceschini. Eccolo: 10 milioni di euro per fare 3 euro di sconto sui biglietti del cinema con l’obiettivo  di “riportare le persone nelle sale”. Ebbene, secondo un calcolo a spanne, considerata una media annuale di 13 milioni di biglietti, il bonus durerebbe all’incirca otto giorni.  Era un’idea di Franceschini. Ma in questo caso solo le malelingue possono sostenere che in Italia la storia si replichi con previsto e inopportuno precipizio nella satira. Si attende con ansia adesso la nomina del nuovo presidente del museo MAXXI, a Roma. Visto che scade l’incarico di Giovanna Melandri. Tocca a Sangiuliano scegliere. E ancora una volta, come diceva Renato Ferretti, il regista di Boris: “Da oggi la parola d’ordine è QUALITÀ!”. Garantito.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.