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l'altra manovra

Ilva, Ita, Mps e le altre: ecco i costi non compresi nella legge di Bilancio

Stefano Cingolani

Tra le nazionalizzazioni possibili aesso c’è in ballo anche Lukoil e soprattutto Tim, l’operazione più strategica e costosa di tutte che mette sotto stress la Cassa depositi e prestiti. Facendo il conto della spesa sono già in ballo i fondi che non si sono trovati in manovra per un taglio più efficace del cuneo fiscale

Più che una legge di bilancio sembra un altro decreto Aiuti per far fronte all’emergenza. I soldi sono pochi e Giorgia Meloni, giustamente, non vuole sfondare il bilancio pubblico. La vera critica non è che sia una manovra “piccola piccola” come ha titolato La Repubblica, ma che utilizzi male le scarse risorse a disposizione. Per il governo il problema principale è tamponare il passato rimborsando parte dei pagamenti per il caro energia, non affrontare l’immediato futuro, cioè il rischio di un crollo del pil. Così, non c’è spazio per il cuneo fiscale che può avere un più efficace impatto anti recessivo.

Nel frattempo si raccolgono offerte per nazionalizzare. E non sono spiccioli. Ilva, Ita, Mps, adesso c’è in ballo anche Lukoil e soprattutto Tim, l’operazione più strategica e costosa di tutte che mette sotto stress la Cassa depositi e prestiti. Questa partita l’ha presa in mano direttamente il capo del governo, anche se attorno si muovono in molti e non tutti in sintonia. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessio Butti che in Fratelli d’Italia si occupa di telecomunicazioni, ha proposto che la Cdp lanci un’offerta pubblica d’acquisto su Tim, dopo averla conquistata, potrà scorporare la rete e fonderla con Open Fiber. Quanto costerebbe? Il titolo oggi vale appena 22 centesimi, con una capitalizzazione di 4,72 miliardi di euro, la Cdp possiede il 9,6% per arrivare oltre il 50% dovrebbe spendere quasi un miliardo e 900 milioni al netto di eventuali premi per attrarre gli azionisti di minoranza. Come reagirebbe Vivendi che possiede il 23%? Dario Scannapieco, l’ad della Cassa, si muove con i piedi di piombo, consapevole che le sue disponibilità sono limitate e vincolate all’acquisizione della sola rete non di tutta la Tim. L’offerta potrebbe arrivare la prossima settimana (il consiglio di amministrazione è in pre allerta per mercoledì 30) e prevede una serie di passaggi volti anche a diluire i costi. Da quel che sappiamo la Cdp valuta la rete tra i 15 e i 16 miliardi di euro, Vivendi calcola tra i 25 e i 30 miliardi. Non sarà facile né a buon mercato trovare un punto d’incontro. Che posizione prenderà Giorgia Meloni? E tutti i ministri saranno d’accordo con lei?

La pressione si fa insostenibile, a Taranto, affinché venga anticipata la nazionalizzazione. Ad aprile Invitalia, l’agenzia del Tesoro, ha acquisito il 40% di Acciaierie d’Italia (la ex Ilva) per 400 milioni di euro ottenendo diritti di voto pari ad ArcelorMittal che possiede il 60%. L’accordo prevede che le posizioni s’invertano nel 2024. I sindacati, i poteri locali, la regione Puglia, buona parte del governo spingono per anticipare i tempi dopo la decisione di tagliar fuori 145 ditte appaltatrici minacciando migliaia di dipendenti. L’azienda ha perso due grandi occasioni: il boom dell’acciaio in seguito alla ripresa più forte del previsto e l’invasione dell’Ucraina che ha bloccato l’Azovstal di Mariupol, grande fornitrice anche dell’Italia. E ora il maggior siderurgico italiano si trova in difficoltà, mentre continua da ormai dieci anni il sequestro giudiziario degli impianti che ostacola la gestione dell’impresa. Per passare al 60% il Tesoro dovrebbe sborsare altri 200 milioni di euro. Ha appena staccato un assegno di un miliardo e 600 milioni per ricapitalizzare il Monte dei Paschi per il quale non si trovano acquirenti, mentre una lobby bipartisan dentro e fuori Siena vuole che lo stato banchiere s’aggiunga a quello siderurgico e telefonico, in barba alla Ue. E non basta, c’è lo stato aviatore.

L’addio di Msc (“sono venute meno le condizioni” ha detto Gianluigi Aponte) lascia sola la Lufthansa e fa pendere la bilancia a favore del fondo Certares, soluzione che prevede il Tesoro azionista al 40% e non piace al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti. Da quando Etihad ha venduto l’Alitalia nel 2017, i vari governi hanno speso tredici miliardi di euro. Pensiamo a quanti ne dovrà mettere per far decollare davvero la compagnia. Ma attenzione, una sorta di soluzione 40% s’affaccia anche all’Isab di Priolo. Non basta la garanzia statale alle banche per tenere a galla la seconda raffineria italiana finita nel vortice delle sanzioni. La Lukoil non può che vendere, si è fatto avanti il fondo Crossbridge respinto dai russi (è americano). Il segretario della Fiom Cgil, Michele De Palma, l’ha buttata là: perché l’Italia non segue la Germania e nazionalizza? Facendo il conto della spesa solo per Mps, Ilva, Ita e Tim, sono già in ballo i fondi che non si sono trovati per il cuneo fiscale. Non è un calcolo ragionieristico, ma politico, direbbe Giorgia Meloni.