Pronti all'embargo?

La Germania si prepara a fare a meno del petrolio russo. L'Italia (e Priolo) no

Luciano Capone

Mentre i tedeschi, in vista dell'embargo, hanno introdotto l'amministrazione fiduciaria per gli impianti di proprietà russa, così da garantire continuità nell’approvvigionamento energetico, la crisi della raffineria in Sicilia, che appartiene sempre a un'azienda russa, continua a essere gestita in modo confuso e pigroì anche dal nuovo governo

Nei giorni scorsi la raffineria Pck di Schwedt, in Germania, ha ricevuto per la prima volta un carico di petrolio proveniente dal porto di Danzica, in Polonia. Il greggio norvegese trasportato via nave è arrivato all’oleodotto polacco a Schwedt, dove è stato miscelato con il greggio russo che da sempre fornisce la raffineria attraverso l’oleodotto Druzhba. La notizia è rilevante perché è la prima fornitura in vista del blocco al petrolio russo che Berlino ha previsto per l’inizio del 2023. L’impianto avrà così anche il tempo per fare tutti gli aggiustamenti tecnici necessari alla lavorazione di un nuovo mix di greggio con una composizione chimica diversa da quello russo, che storicamente è stato utilizzato.

 

La notizia consente di fare un parallelo con l’Italia. In particolare con la gestione della crisi della raffineria di Priolo, in Sicilia. Come più volte raccontato, lo stabilimento siciliano (Isab) è di proprietà della russa Lukoil e, dopo l’invasione dell’Ucraina, si è ritrovato senza più supporto finanziario da parte delle banche timorose di possibili ricadute economiche, nonostante non ci fosse alcuna sanzione sulla società e sul settore energetico. Questo ha comportato che il più grande stabilimento italiano di raffinazione si è ritrovato a poter fare affidamento solo sul greggio russo fornito dalla casa madre (mentre prima era solo un terzo), ma con l’entrata in vigore il prossimo 5 dicembre dell’embargo europeo sul petrolio russo sarà costretta a chiudere. In questo periodo di tempo, a partire da marzo, l’Isab ha fatto presente questa enorme criticità al governo, avanzando qualche possibile soluzione (da una “comfort letter” per rassicurare i fornitori di Isab sull’assenza di sanzioni a una garanzia di Sace) ma il governo Draghi, in particolare il ministro dello Sviluppo Giorgetti, non ha fatto nulla.

 

In Germania la situazione presentava molte analogie, ma è stata affrontata diversamente. Per tempo e con metodo. La raffineria Pck di Schwedt, come altri impianti, è di proprietà del colosso statale russo Rosneft. Il Bundestag, però, a maggio 2022 ha modificato la Legge sulla sicurezza energetica del 1975 per introdurre nuove misure per affrontare la crisi dopo l’invasione russa. L’innovazione più importante è stata l’introduzione dell’amministrazione fiduciaria, una specie di amministrazione straordinaria del nostro ordinamento, su società e infrastrutture critiche per l’approvvigionamento energetico. Questa norma ha consentito a settembre di porre questa, come altre raffinerie di proprietà russa, sotto l’amministrazione fiduciaria dell’Agenzia federale delle Reti per garantire continuità nell’approvvigionamento energetico. Dopo questo intervento, sebbene l’embargo europeo sul petrolio russo riguardi solo quello via nave, e quindi, a differenza del caso di Priolo, la raffineria di Schwedt avrebbe potuto continuare a essere rifornita dall’oleodotto russo-tedesco Druzhba, il governo tedesco ha comunque deciso autonomamente di bloccare l’import di greggio degli Urali da gennaio 2023. E così, a partire dai giorni scorsi, si è portata avanti con forniture alternative via nave grazie a un accordo con la Polonia. 

 

In Italia, invece, tutto è in alto mare. La crisi continua a essere gestita in modo confuso e pigro. A dire il vero, anche perché i tempi si fanno più stretti, con il nuovo governo qualcosa si muove. Il Mef ha emesso la “comfort letter” richiesta da diversi mesi, che però anche per il ritardo con cui è arrivata non ha sbloccato nulla. Il ministro delle Imprese (ex Sviluppo economico) Adolfo Urso sta seguendo il dossier e dice che Sace è pronta a fornire la garanzia. Ma le cose continuano ad andare al ralenti. L’ultimo incontro al Mise è del 17 ottobre e dal tavolo tra governo, Isab e banche era emersa la necessità dell’invio della documentazione da parte dell’azienda per sbloccare la garanzia, la nomina di un advisor legale per il tema delle sanzioni e di riaggiornarsi entro 15 giorni. L’unica novità è che l’azienda ha consegnato tutta la documentazione, ma l’advisor legale non è stato trovato e il tavolo è convocato per il 18 novembre (30 giorni dopo, anziché 15). E’ impossibile che si arriverà a una soluzione prima del 5 dicembre, quando scatterà l’embargo. Ciò vuol dire che l’Isab lavorerà con un’operatività limitata per diversi mesi, fino a quando non finirà le scorte. Poi dovrà chiudere. E’ difficile immaginare come andrà a finire a Priolo. Si può, invece azzardare un pronostico su Schwedt, in Germania: tutto filerà liscio come il petrolio. 
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali