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Servizi pubblici locali in debito di concorrenza e trasparenza

Giacinto della Cananea

Riemerge nella discussione sul decreto legislativo che il governo cerca di adottare il conflitto tra due opposte visioni, una favorevole all’introduzione d’una maggiore concorrenza, l’altra – invece – tesa a evitare in ogni modo il ricorso al mercato

Tra i provvedimenti definiti dal governo Draghi per attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, già approvato dal Parlamento e dall’Ue, pochi hanno sollevato tanti contrasti all’interno della maggioranza quanto il disegno di legge volto a promuovere la concorrenza. La legge è stata approvata dal Parlamento all’inizio di agosto, ma al prezzo di vari compromessi. Alcune disposizioni controverse sono state stralciate, come quella sui taxi. La portata innovativa di altre disposizioni è stata attenuata, per esempio per le concessioni balneari. In altri casi, ancora, scelte delicate sono state rinviate al momento dell’emanazione dei decreti legislativi delegati che il governo è competente ad adottare anche nell’attuale regime di ordinaria amministrazione. È il caso, in particolare, della disciplina dei servizi pubblici locali. Per essi, sta riemergendo nella discussione sul decreto legislativo che il governo cerca di adottare il conflitto tra due opposte visioni, una favorevole all’introduzione d’una maggiore concorrenza, l’altra – invece – tesa a evitare in ogni modo il ricorso al mercato.

  

I sostenitori della prima visione hanno ottenuto il rafforzamento dell’Antitrust. Ma i fautori dell’altra visione hanno conseguito un successo in sede di approvazione della legge sulla concorrenza. Sono riusciti, infatti, a far eliminare l’obbligo di fornire una motivazione da trasmettere all’Antitrust in caso di ricorso alla gestione in house, cioè senza indire una gara per ricorrere al mercato, bensì mediante una società formalmente privata di cui l’ente locale ha il controllo. Non sono riusciti a completare l’opera – però – ottenendo che la motivazione fosse doverosa per la decisione opposta, cioè quella di indire una gara. Sarebbe stato davvero paradossale che, nella cornice d’una legge avente a oggetto la concorrenza e volta a promuoverla, gli enti locali dovessero giustificarsi per averla scelta. Tuttavia, gli zelanti avversari della concorrenza sono tornati all’attacco. Le loro critiche si appuntano su tre obblighi procedurali e documentali che verrebbero introdotti dal decreto legislativo: l’obbligo di giustificare, attraverso un’istruttoria e una relazione finale, la scelta di istituire nuovi servizi pubblici, oltre a quelli già previsti dalla legge; quello di predisporre un’ulteriore relazione per dare conto delle ragioni che inducono ad affidare i servizi a società in house; infine, l’obbligo di motivare la scelta d’una gestione di questo tipo anche in base ai risultati conseguiti in passato. Ciò che si lamenta è l’incremento degli adempimenti formali richiesti agli enti locali.

 

Non bisogna, però, farsi trarre in inganno da questa lamentela, per almeno tre buone ragioni. La prima è che i critici degli adempimenti richiesti ai comuni sarebbero più credibili se si dessero almeno altrettanta pena per quelli, molto gravosi, che gli enti locali impongono alle imprese private, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni. La seconda ragione riguarda la storia dei servizi pubblici locali. Nell’Ottocento, il “socialismo municipale” si è sviluppato non soltanto in Italia, ma anche in Francia, in Gran Bretagna e altrove, come risposta ai bisogni avvertiti dalle comunità locali, in assenza di leggi generali. Ma la situazione  adesso è completamente diversa, perché la legge esiste e – come detto – consente agli enti locali di erogare molti servizi pubblici. Perché mai, quindi, chi vuole fornirne altri non dovrebbe spiegarne la necessità, anche sotto il profilo dell’innovazione? Perché mai dovrebbe essere esentato dal rendere conto dell’esperienza pregressa? La terza ragione riguarda la trasparenza nell’uso del denaro pubblico. Durante la pandemia lo Stato ha fornito “ristori” a molti, creando decine di miliardi di nuovo debito pubblico e aumentando un fardello già assai gravoso. Perché, allora, quanti intendono istituire nuovi servizi locali non dovrebbero fornire puntuali motivazioni relative agli investimenti infrastrutturali da effettuare e alla qualità delle prestazioni da rendere al pubblico? E’ del tutto ragionevole chiedere che, prima di usare ancora il denaro dei contribuenti, si dimostri che non vi sono altre possibilità. Si possono talora accettare limitazioni alla concorrenza, ma non senza un’adeguata trasparenza.

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