(foto EPA)

Più costi che benefici nel taglio dei prezzi dell'energia per le famiglie

Alberto Clò

Di fronte al caro energia la risposta dei governi è stata quella di sussidiare i consumi. Ma non sarebbe molto più utile ed efficace sussidiare il risparmio?

Il governo italiano, come la maggior parte di quelli europei, ha impegnato enormi risorse, e ancor più lo farà, per ridurre per famiglie e imprese i prezzi di gas ed elettricità aumentati in un anno di dieci volte. Lo ha fatto anche per i carburanti nonostante i loro prezzi non siano gran che aumentati, all’opposto di quel che si decise dopo il 1973 quando si impedì l’uso dell’auto. Se, sotto il profilo sociale, questa politica è comprensibile, non lo è sotto quello economico, con effetti che potrebbero causare più costi che benefici.

Il modo più brutale ma più efficace per combattere gli alti prezzi sono, ahimè, gli alti prezzi. Riducendoli, ritenendo che i mercati non siano più razionali, si sussidiano i consumi, aumentandone nel caso del gas le importazioni. Se i prezzi interni vengono ridotti si esercita in sostanza una pressione sull’offerta internazionale di gas e quindi sui suoi prezzi, data l’inelasticità a breve dell’offerta per la mancanza di capacità produttiva inutilizzata. Un effetto tanto maggiore se i sussidi vengono garantiti in modo indistinto a tutti indipendentemente dal livello di reddito e capacità di spesa.

La spesa energetica ha comportato una perdita di reddito per la media delle famiglie raddoppiata al 10 per cento a crescere per quelle povere al 30 per cento. Il fatto che i sussidi siano stati adottati anche nei paesi asiatici spiega perché la domanda mondiale di gas ha sostanzialmente tenuto. Sinora i comportamenti dei governi si erano in parte differenziati: così che mentre in Italia il prezzo del gas alle famiglie veniva ridotto del 15 per cento, in Germania, che assorbe un terzo della domanda europea di gas, aumentava del 20. 

 

Al crescere dei prezzi internazionali la pressione politica sui governi si è di molto accresciuta, così che il governo tedesco ha deciso di destinare 65 miliardi di dollari a famiglie e imprese per ridurne il costo dell’energia. Il costo fiscale dei sussidi energetici è enorme, per l’Italia è ammontato sinora a 50 miliardi di euro, destinati ad aumentare sino a 60 miliardi. Un costo fiscale che rappresenta solo un trasferimento (dal governo alle famiglie), ma non una perdita netta per la società. Va da sé che sussidiare i consumatori e il loro consumo di energia è esattamente l’opposto di quel si vorrebbe ottenere con il Piano di contenimento dei consumi deciso nel nostro paese o con quello deliberato nel Piano “Save Gas for a Save Winter” dalla Commissione europea. Dall’inizio dell’anno i consumi di gas in Italia sono diminuiti intorno al 2,5 per cento. Per conseguire gli obiettivi del Piano questo calo dovrà accelerare sino al 7 per cento. 

In conclusione: ogni azione che attenui l’incentivo a contenere i consumi si traduce in maggiori importazioni e maggiori prezzi. Una spirale che si avvita su se stessa. Tagliare le unghie ai segnali di prezzo può in apparenza farti sentir meglio ma prima o poi devi pagarne il costo. Secondo Daniel Gros, economista membro del Ceps di Bruxelles, questi sussidi sono “extremely costly and ultimately futile” e dimostra analiticamente come sia più conveniente anziché sussidiare i consumi sussidiare esattamente il suo contrario: il risparmio. Come? Riconoscendo alle famiglie un bonus se questo inverno consumeranno meno dell’inverno passato ovvero fissare un tetto al prezzo del gas sino a un predeterminato livello di consumo e prezzi pieni per consumi superiori. A suo avviso, sussidi al risparmio si ripagano da sé, attraverso minori prezzi all’importazione. Per conseguirli interamente sarebbe però necessaria un’ampia adesione degli altri maggiori paesi europei, perché se così non fosse i minori prezzi del gas ottenuti da un paese con politiche pro-risparmio verrebbero annullati dai comportamenti degli altri paesi. Un agire comune per un comune interesse che non sembra tuttavia si vada osservando di questi tempi, come confermato dal fallimentare Consiglio europeo dell’energia del 9 settembre.

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