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Sanzioni: alla fine del primo tempo la Russia è in svantaggio

Riccardo Trezzi

Pur considerando i toni da campagna elettorale, il dibattito sull’efficacia delle sanzioni alla Russia è arrivato a ignorare i fatti. Ecco cosa sta accadendo spiegato con una metafora calcistica

A seguito dell’invasione russa in Ucraina, i paesi occidentali hanno imposto sanzioni al Cremlino. Tali sanzioni si sono concentrate quasi esclusivamente sulle importazioni di Mosca, lasciando l’export, soprattutto il gas, non sanzionato. Detto in termini calcistici, le sanzioni hanno espulso il portiere e la difesa della squadra russa ma non hanno toccato il centrocampo e l’attacco. Da allora, come stiamo per spiegare, Mosca ha segnato un paio di goal grazie ad alcune contromosse ma ne ha incassati quattro.

 

La partita è tutt’altro che finita ma la situazione alla fine del primo tempo è certificata dai numeri. Il Fondo Monetario Internazionale prima dell’invasione prevedeva un’espansione del Pil russo del 2,9% nel 2022 e del 2% nel 2023. Lo stesso Fondo Monetario prevede ora una contrazione del Pil del 6% nel 2022 ed un’ulteriore contrazione del 3,5% nel 2023. Ovvero, nonostante la bilancia commerciale (che è parte del Pil) sarà largamente in positivo quest’anno grazie alle esportazioni di beni energetici, il Pil nel suo complesso è atteso in forte calo sia nel 2022 che nel 2023 a causa della contrazione dei consumi interni. In totale, l’effetto delle nostre sanzioni è stimabile in 15 punti percentuali sul livello del Pil russo entro la fine del 2023 (circa 200 miliardi di dollari). Non vi è dubbio alcuno, quindi, che le sanzioni al momento abbiano fatto molti più danni al Cremlino che a noi. Ricordando che se avessimo sanzionato anche le esportazioni di Mosca avremmo provocato alla Russia una recessione in doppia cifra, forse superiore a quella di inizio anni ’90.

 

Gli effetti delle nostre sanzioni si vedono ancora meglio guardando i numeri disaggregati. Riportiamo i tre più indicativi. Il primo dato è quello della borsa di Mosca che rimane il 37% al di sotto del livello pre invasione senza segnali di recupero. Gli agenti finanziari, che scontano l’andamento dei flussi di cassa futuri delle aziende quotate, stimano una perdita di ricchezza enorme poiché ritengono che lo shock negativo sia permanente. Il secondo dato riguarda la produzione di autovetture domestiche. Il grafico qui sotto riporta l’andamento del numero di autovetture domestiche prodotte tra Luglio 2019 e Luglio 2022. Gli ultimi dati indicano che la produzione si è quasi azzerata e la ragione è da trovarsi nelle difficoltà di approvvigionamenti di componenti intermedi importati, ovvero sotto sanzione (si veda al riguardo anche l’ultimo PMI report di S&P).

 

 

Il terzo ed ultimo dato riguarda i consumi privati, in particolare l’indice delle vendite al dettaglio al netto dei beni alimentari che a luglio si è contratto del 15% su base annua con punte di oltre il 90% per il settore delle auto importate. Insomma, gli effetti delle sanzioni sono chiari: abbiamo provocato problemi molto seri alla produzione industriale russa e generato una recessione dei consumi privati. E senza i nostri prodotti importati, la Russia è destinata ad un lento declino poiché dovrà sostituirli con beni a livello tecnologico inferiore.

 

Per questa ragione, quindi, non ha senso prendere l’andamento dei volumi e del prezzo di un export (il gas) come cartina tornasole. Il prezzo che paghiamo per il gas non è una misura dell’inefficacia delle nostre sanzioni; è piuttosto una misura dell’efficacia delle contromosse del Cremlino. La partita è tutt’altro che finita ed il risultato finale dipenderà da come decideremo di gestire il secondo tempo della partita. Per questo, ci permettiamo di fare un invito: è giunto il momento di realizzare la posta in gioco e di muoversi di conseguenza, fosse anche invitando la popolazione europea a rivedere le proprie abitudini di consumi energetici. Il prossimo gol lo dobbiamo segnare noi.

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