l'intervista

"Pnrr e sanzioni alla Russia: questa destra non sa abbandonare l'antieuropeismo", ci dice Gelmini

Valerio Valentini

"La svolta della Meloni? Furba, ma poco credibile. Nel suo pantheon c'è Orban, non De Gasperi. Salvini? Vedrete che si opporrà anche al tetto sul prezzo del gas. I sovranisti non riescono a riconoscere la svolta dell'Ue, altrimenti non avrebbero più armi per la propaganda. Forza Italia ha tradito la sua storia sfiduciando Draghi. Il partito dell'Italia produttiva ora è Azione". Parla la ministra degli Affari regionali

Come un residuo di vecchia propaganda che non va via, il segno dello sforzo che costa affrancarsi dai propri stessi slogan. “La verità è che la destra ha capito che i sovranismi non hanno futuro, ma non può al tempo stesso professarsi europeista. Vale per la Meloni, che fa fatica a riconoscere la svolta riformatrice dell’Ue, anche perché togliere l’Europa dei burocrati alla leader di FdI è come togliere il tema dei migranti a Salvini. E vale per lo stesso Salvini sul tema delle sanzioni, su cui resta contrario. E, ve lo preannuncio, quando Bruxelles avrà preso la decisione che l’Italia chiede da tempo sul tetto al prezzo del gas, vedrete che il capo della Lega si schiererà contro anche a quello”. Eccola, la destra italiana a trazione sovranista fotografata da Mariastella Gelmini. 

C’è anche Forza Italia, in questa destra. Il partito da cui la ministra per gli Affari regionali è uscita,  sentendosi  dare della traditrice. “Ma il vero tradimento lo ha consumato FI nei confronti della sua missione storica. Che sarebbe quella di rappresentare l’Italia produttiva”. Non lo è più, dunque, il partito delle imprese? “Ha cessato di esserlo – dice Gelmini –  nel momento in cui si è allineata alla Lega sulla decisione di far cadere Draghi. Il nord produttivo è rimasto attonito”. Il Terzo polo è più credibile? “Lo è perché parla il linguaggio delle imprese. E lo si è visto a Cernobbio, dove Calenda è stato il leader più applaudito. E’ la nostra agenda a darci credibilità: su Industria 4.0, sulla realizzazione delle infrastrutture che servono al paese, dai rigassificatori ai termovalorizzatori, sull’abolizione dell’Irap e la semplificazione fiscale. Sul grande lavoro che c’è da fare per fornire alle imprese manodopera specializzata, sulla formazione professionale e sugli Its, sulla libertà di scelta e le scuole paritarie. E sulla volontà di attuare il Pnrr”.

Non riscriverlo, dunque, come dice la Meloni. “Il Pnrr è la riprova che l’Ue, come dicevo, è cambiata. Dietro la richiesta di modificarlo c’è il pregiudizio politico di chi per anni ha cercato consensi attaccando l’Europa dei burocrati. La destra fatica a riconoscere questa trasformazione dell’Unione perché per anni ha raccontato che a Bruxelles si occupavano della dimensione degli ortaggi invece che dei problemi dei cittadini. Il Pnrr, peraltro, è un patto e va onorato. Stiamo attraversando un periodo decisivo per l’Europa: sono in discussione la revisione del Patto di stabilità, la Difesa comune, un nuovo Recovery fund per l’energia, una riedizione di Sure se dovesse esplodere la cassa integrazione per il caro bollette. Mi chiedo: l’Italia sarà più forte nel negoziare rispettando gli impegni o rinnegandoli per un pregiudizio ideologico? E poi: chi va a dire ai sindaci che hanno ottenuto risorse per la rigenerazione urbana e per gli asili  che adesso blocchiamo tutto perché vogliamo rinegoziare il Pnrr?”.

Eppure, la svolta della Meloni pare netta. “Giorgia è stata abile a smarcarsi dai suoi alleati davanti all’invasione russa in Ucraina, recitando il ruolo dell’euroatlantista a oltranza. Non dico che sul tema specifico della guerra  non sia in buona fede, ma non possiamo dimenticarci le sue posizioni contraddittorie sull’Europa. In questa legislatura ha presentato, a sua prima firma, proposte di modifica della Costituzione per eliminare il rispetto dei vincoli europei;  rifiuta la dimensione federale dell’Unione, che è quella per la quale i veri europeisti combattono. Ha nel suo pantheon non De Gasperi e Spinelli, ma Orbán e Zemmour”.

Salvini, invece, a suo modo resta coerente: contrario alle sanzioni. “Sulle sanzioni la destra ha perso qualsiasi credibilità: il siparietto andato in scena a Cernobbio è stato illuminante. Le sanzioni in realtà stanno colpendo l’economia russa che fino all’anno scorso cresceva e che adesso è in recessione. Dopodiché la guerra nel cuore dell’Europa, le tensioni sull’energia, costano agli italiani: ma non sono le sanzioni ad avere provocato questa esplosione dei prezzi. Famiglie e imprese soffrono per l’esplosione dei costi, e il governo è già intervenuto e lo ha fatto tempestivamente: chi cita l’intervento tedesco, dimentica quello che ha fatto il governo italiano. Occorre fare di più, d’accordo. Peccato si sia  nel bel mezzo di una folle campagna elettorale in cui i partiti che hanno mandato a casa Draghi chiedono a Draghi di fare qualcosa”.

Draghi, appunto: un governo guidato dal premier uscente resta l’obiettivo del Terzo polo? “Noi diamo agli elettori la possibilità di uscire dalla falsa contrapposizione binaria dei populismi. E siamo l’unica coalizione che non contiene al suo interno forze che si sono opposte al governo Draghi. Sosteniamo che prima dell’interesse di partito viene l’interesse nazionale. La crisi che stiamo vivendo, pur essendo diversa da quella pandemica, è altrettanto grave e richiederebbe la prosecuzione di un’esperienza quale quella del governo Draghi. Naturalmente ciò dipenderà dall’esito del voto. Tuttavia non credo che, in caso di vittoria della destra, il governo che nascerà durerà a lungo…”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.