Perché il no all'estrazione di gas nazionale fa male anche all'ambiente

Luciano Capone

Se l’Italia avesse mantenuto il livello di estrazione di metano del 2014 (7,3 miliardi di metri cubi), oggi non sarebbe obbligata a bruciare carbone e olio combustibile né ad abbassare le temperature, come previsto dal piano di emergenza di Cingolani

La prossima settimana dovrebbe essere presentato il decreto preparato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani per attuare l’aumento della produzione di gas nazionale. Per quanto il governo Draghi abbia definito urgente la materia, le questioni tecniche sono abbastanza complicate e i risultati dovrebbero vedersi solo nel medio termine, con un raddoppio della capacità di produzione nazionale che attualmente è attorno a 3 miliardi di metri cubi annui. Rispetto al fabbisogno italiano, che è di circa 75 miliardi di metri cubi annui di gas, pare una bazzecola, qualcosa di completamente insignificante. E invece è anche questo, insieme agli altri, un punto fondamentale della strategia di riduzione delle importazioni e quindi di riduzione della dipendenza energetica dalla Russia.

 

Quanto sia stato miope, anche dal punto di vista ambientale, distruggere un’industria nazionale e ridurre l’autonomia politica ed energetica del paese in nome dell’ambientalismo è evidente dai numeri del piano di riduzione dei consumi di gas presentato dal Mite. In pratica, se l’Italia avesse mantenuto i livelli di estrazione di gas di pochi anni fa, avrebbe raggiunto integralmente, o quasi, gli obiettivi del piano. L’Unione europea chiede infatti ai paesi membri di ridurre volontariamente, nel periodo che va dal primo agosto 2022 al 31 marzo 2023, il 15% del consumo di gas. Per l’Italia vuol dire 8,2 miliardi di metri cubi in meno. 

 

Per raggiungere l’obiettivo, il governo punta su tre frecce: uso di carbone e gasolio per sostituire il gas nella produzione di energia elettrica (2,1 miliardi mc); contenimento dei consumi abbassando le temperature e riducendo gli orari del riscaldamento (3,2 miliardi); misure comportamentali, come la riduzione della durata e della temperatura delle docce, l’uso di pompe di calore per il riscaldamento, etc. (2,9 miliardi). A fianco al piano volontario, che come è evidente è piuttosto incerto per i risultati che dipendono dalle azioni e dai comportamenti individuali di milioni di persone, c’è un obiettivo minimo che può diventare obbligatorio per l’Italia in caso di allerta dell’Unione europea: -3,6 miliardi di metri cubi (il 7%).

 

Non è forse il caso di risalire al 2002, venti anni fa, quando l’Italia produceva 15 miliardi di metri cubi di gas, quindi 12 miliardi in più di oggi e 4 miliardi in più degli 8 previsti dal piano volontario di riduzione. Ma prendiamo come riferimento il 2014, l’anno dell’occupazione della Crimea da parte della Russia, quando forse bisognava pensare a non essere troppo legati a Mosca. Nel 2014 la produzione nazionale di gas era di 7,3 miliardi di metri cubi, ovvero oltre 4 miliardi più di oggi. Questo vuol dire che, stando ai numeri del piano preparato dal governo, se l’Italia avesse mantenuto quel livello di estrazione oggi non sarebbe stata obbligata a bruciare carbone e olio combustibile e in più avrebbe avuto altri 2 miliardi di metri cubi che avrebbero garantito maggiore sicurezza e autonomia.

 

Naturalmente, non era prevedibile l’invasione russa dell’Ucraina. Ma comunque bloccare l’estrazione di gas non aveva alcun senso economico e ambientale, perché nel frattempo la domanda di gas è rimasta costante. E ciò vuol dire che l’Italia ha dovuto aumentare le importazioni, con effetti più negativi per l’ambiente in termini di emissioni e più positivi per Putin dal punto di vista economico e politico. La speranza è che la lezione sia servita.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali