Un Recovery plan energetico

La crisi del gas in Germania e la necessità di un aiuto dal sud Europa

Luciano Capone

Berlino è in emergenza e ha bisogno dei paesi mediterranei. Si sono ribaltati i ruoli. In inverno, in Italia potrebbe scattare la reazione sovranista: fatti loro. Ma sarebbe un grave errore politico, è l'occasione per rilanciare chiedendo un piano europeo per la sicurezza energetica

“Non possiamo fare sacrifici sproporzionati. A differenza di altri paesi, noi non abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Sono parole che rievocano la posizione della Germania rispetto alle difficoltà fiscali dei paesi del sud. Ma sono quelle pronunciate dalla vicepremier spagnola Teresa Ribera in risposta alle iniziali richieste della Commissione europea di ridurre il consumo di gas del 15% per far fronte al taglio di forniture dalla Russia. Ed è, più o meno, la stessa posizione espressa dall’Italia.

 

Sulla questione energetica, insomma, si sono ribaltati i ruoli. Il paese che per anni ha accusato il Club Med di un comportamento economico irresponsabile, ora si ritrova a chiedere solidarietà – la stessa invocata dai paesi del sud durante la crisi dei debiti sovrani – per attutire l’impatto della crisi del gas dovuta all’eccessiva dipendenza dalla Russia. E come la Germania non voleva sopportare i sacrifici per l’“azzardo morale” dei paesi indebitati, così i paesi con maggiore autonomia energetica non vogliono pagare l’“azzardo morale” di chi ha costruito il successo della propria economia sul gas a basso prezzo di Putin ignorando i rischi politici. È una reazione comprensibile, ma che sarebbe controproducente per i singoli stati e per l’Europa nel complesso.

 

La Germania sta affrontando una crisi senza precedenti. Con il taglio al 20% del flusso di gas del Nord Stream, che fornisce circa il 60% di fabbisogno annuo, il governo ha accelerato il piano di emergenza. Ma la situazione è complicata, perché mancano infrastrutture e la Germania sta consumando gas che dovrebbe lasciare negli stoccaggi. È stato alzato il livello di allerta, che ora è a un passo dal razionamento e quindi dalla chiusura delle industrie. Secondo l’Fmi, l’economia tedesca è la più colpita rispetto alle stime ante guerra. Paesi come l’Italia potrebbero pensare che è un problema che i tedeschi devono risolvere da soli. Ma è un problema anche nostro, perché se si ferma l’industria tedesca si blocca la manifattura fornitrice del nord Italia, che se anche avrà il gas non riceverà ordini. E se il pil italiano rallenterà, aumenteranno le tensioni sul debito. La fragilità energetica tedesca si ripercuoterebbe sulla fragilità finanziaria italiana.

 

Quando in inverno mancherà il gas in Germania, soprattutto se avremo un governo di destra, da noi potrebbe scattare la reazione “sovranista”: fatti loro. Sarebbe un errore politico, perché dividere l’Europa attraverso l’arma del gas è l’obiettivo di Putin. E ne pagheremmo comunque le conseguenze economiche. Ciò che serve è uno scatto in avanti sul tema della solidarietà: mettere in comune fragilità e risorse. I paesi del sud, che possono aiutare la Germania facendo sacrifici sul gas, devono chiedere a Berlino quei meccanismi di condivisione che ha sempre rifiutato. Un Recovery plan per l’energia, analogo al Next generation per affrontare la crisi Covid: debito comune per la cassa integrazione delle aziende che dovranno fermarsi (tipo Sure); un sistema per calmierare i prezzi del gas per le industrie energivore che non possono fermarsi; investimenti per migliorare le interconnessioni energetiche europee (ad esempio tra Spagna e Francia).

 

Come la Bce ha varato lo scudo anti spread per evitare la frammentazione finanziaria, così i governi devono trovare soluzioni contro la frammentazione energetica. Diceva Jean Monnet che “l’Europa sarà forgiata dalle crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere quelle crisi”. Ora quella soluzione non può che essere una strategia comune per la sicurezza energetica, perché Putin colpisce la Germania per piegare tutta l’Europa.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali