La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (Ansa)  

I limiti

Cosa non va nel processo decisionale europeo su gas ed energia

Simona Benedettini

La proposta di Bruxelles è stata respinta dal Consiglio dei ministri dell’Energia perchè sarebbe stata troppo onerosa per gli stati. La difficoltà della Commissione di adottare obiettivi realistici e quindi credibili è un aspetto che sempre più spesso caratterizza la governance europea su questo tema

C’è una cosa peggiore di un obiettivo mancato. Ed è l’annuncio di un obiettivo non raggiungibile e, per questo, non credibile. Questa è la lezione che la Commissione europea dovrebbe trarre dal Consiglio dei ministri dell’Energia dello scorso martedì. Il Consiglio è infatti intervenuto in modo significativo nel modificare la proposta di regolamento europeo della Commissione sulla riduzione dei consumi di gas che gli stati membri dovrebbero attuare nella prospettiva di un’interruzione delle forniture di gas russo. La scorsa settimana la Commissione aveva presentato una proposta di Regolamento che prevedeva da subito un impegno degli stati membri per ridurre in modo volontario i consumi di gas di circa il 15 per cento rispetto ai consumi medi registrati nei cinque anni precedenti. Tale obiettivo sarebbe dovuto diventare obbligatorio nel caso in cui la Commissione avesse dichiarato lo stato di allerta.
 
Attraverso il Consiglio europeo di martedì gli stati hanno espresso la loro contrarietà alla proposta di Bruxelles. In primo luogo, hanno ottenuto di essere essi stessi a decidere se attivare o meno l’allerta a livello Ue anziché la Commissione come da proposta originaria. Quest’ultima potrà solo proporre agli stati di attivare l’allerta. In secondo luogo, gli stati  sono riusciti a ottenere numerose deroghe al target obbligatorio del 15 per cento. La nuova proposta di regolamento varata dal Consiglio prevede, infatti, che possano essere esentati dall’obbligo gli stati non interconnessi con i gasdotti europei e che il target sia ridotto per quei paesi o che si sono rivelati particolarmente bravi nel riempire gli stoccaggi o la cui produzione elettrica o industriale dipende fortemente dal gas. Nei fatti, è venuta meno l’obbligatorietà del target del 15 per cento e la capacità della Commissione di imporlo.
 
E’ vero che la proposta della Commissione è stata avanzata secondo procedure previste dai trattati europei. Ma è altrettanto vero che i contenuti, se fossero stati più realistici, avrebbero potuto evitare la clamorosa marcia indietro del Consiglio. E, conseguentemente, una perdita di credibilità per la Commissione sia nell’esercitare un ruolo di guida sia nell’imporre, di fatto, sanzioni alla Russia attraverso misure di risparmio energetico per promuovere l’indipendenza energetica.
 
Non solo era prevedibile che l’adozione di un target unico avrebbe suscitato disaccordo tra gli stati  che, nel corso di tutta la crisi energetica, non hanno mancato di fare valere i propri interessi particolari a discapito del principio solidaristico. Ma, soprattutto, la Commissione sembra non essersi interrogata sulla sensatezza di imporre un target quantitativo che non tiene minimamente conto dei segnali di prezzo. Gli elevati prezzi del gas naturale che stiamo osservando in questi giorni, e che hanno raggiunto valori record oltre i €220/MWh, sono destinati ad aumentare al crescere delle incertezze sulle forniture russe, con l’inevitabile conseguenza di rendere ancora più difficili gli approvvigionamenti. In un contesto simile applicare, oltre a un razionamento che di fatto sarebbe imposto dai prezzi, anche un target obbligatorio di riduzione dei consumi renderebbe drammaticamente oneroso per gli stati membri soddisfare le richieste del regolamento.
 
Purtroppo, la difficoltà della Commissione di adottare obiettivi realistici e quindi credibili è un aspetto che sempre più spesso caratterizza la governance europea dell’energia. Lo si sta osservando in modo emblematico rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione che guidano il processo di transizione energetica. La crisi energetica ha infatti indotto la Commissione a consentire agli stati membri di sostituire transitoriamente il gas naturale   con fonti fossili come carbone e diesel nella produzione elettrica e industriale. Una possibilità che, di fatto, è un’ammissione di inadeguatezza dei tempi e degli obiettivi della transizione energetica alla luce del nuovo quadro geopolitico.
 
Ancora prima, nel corso della storia del mercato interno dell’energia è stata evidente la difficoltà della Commissione di imporre agli stati l’attuazione di direttive e regolamenti in tempi certi e, soprattutto, rapidi. Aspetto che ha rallentato il processo di convergenza  e aumentato, quindi, la necessità degli stati membri di difendere interessi particolari e diversi.
 Il Consiglio europeo di martedì conferma questa tendenza. Non il massimo in uno scenario che richiederà, diversamente, sempre più solidarietà tra gli stati  e sempre più realismo da parte della Commissione.
 

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