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Le prospettive economiche

Energia, logistica, piccole imprese. Alle radici dell'inflazione

Mariarosaria Marchesano

Gli economisti sono concordi: non è transitoria. Però c’è chi non la ritiene preoccupante, almeno in Europa

L’inflazione arrivata all’8 per cento nel mese di giugno in Italia, livello più elevato dal 1986, con l’aggravante di un aumento della cosiddetta inflazione di fondo, quella cioè che non tiene conto dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari (passata dal 3,2 al 3,8 per cento), non sorprende Tommaso Monacelli, economista dell’Università Bocconi che è sempre stato scettico sul fatto che la corsa dei prezzi potesse essere un fenomeno “transitorio” sebbene innescato da uno choc dell’offerta. Per Monacelli si sta verificando un’accelerazione del trasferimento del caro prezzi dalle filiere produttive ai consumatori finali attraverso le piccole imprese, che in Italia e nel sud Europa sono in numero prevalente rispetto alle grandi imprese. “La novità del dato di giugno è che l’inflazione sta cominciando a trasferirsi in modo asimmetrico nei vari paesi dell’Eurozona e questo è un altro problema che si aggiunge a quelli che la Bce sta cercando di gestire”, dice l’economista al Foglio. Ma l’Italia gode di un tasso d’inflazione inferiore a quello della zona euro, dove è salito all’8,6 per cento.

Non è cosi? “Se parliamo di inflazione core, l’Italia ha già superato l’Eurozona (3,8 per cento contro il 3,7, ndr) e questo dipende dal fatto che il sistema produttivo è costituito prevalentemente da realtà medio-piccole, che per non veder erodere i margini di profitto, scaricano sui clienti finali gli aumenti delle materie prime molto più velocemente rispetto a quanto fanno le grandi imprese. Vale per l’Italia, ma anche per Spagna, Portogallo e altri paesi periferici. Al contrario, nel nord Europa, dove prevale la grande industria la trasmissione dell’inflazione core sarà più lenta”.

Questo implica in qualche modo un ulteriore rischio di frammentazione della zona euro? “Ritengo di sì, anche se non vedo come la Bce possa porvi rimedio visto che non può mettere in atto una politica monetaria differenziata per aree. Già il contenimento degli spread rappresenta una grande sfida per Lagarde, difficile che possa tenere conto anche di un’asimmetria nella trasmissione dell’inflazione che deriva dalla diversa dimensione delle imprese. Anche perché per questi paesi vorrebbe dire una politica dei tassi ancora più restrittiva, il che sarebbe un paradosso considerando l’effetto che avrebbe sui rendimenti del loro debito sovrano”. 


Insomma, l’inflazione in Europa rischia di aggravare gli squilibri di un’area economica poco omogenea, uscita dalla pandemia con livelli di debito pubblico molto differenziati. “La controprova è che l’inflazione sta accelerando anche in Spagna, paese che non ha un problema di dipendenza energetica dall’estero come  l’Italia”. Potrebbe aiutare il tetto al prezzo del gas a contenere l’inflazione? “In senso lato, forse sì, ma forse non è chiaro che l’inflazione vive ormai di vita propria e rischia di essere un fenomeno che si autoalimenta com’è già successo negli anni Ottanta. L’unico vero freno può metterlo la Bce modificando le aspettative di inflazione con un’azione molto meno titubante rispetto a quanto sta facendo”.

E il rischio di recessione, paventato, peraltro, dal presidente della Fed? In fondo, l’economia europea, rispetto agli Stati Uniti, sta continuando a crescere e anche il pil italiano aumenterà nel 2022 più delle attese. “Più aumenta l’inflazione più alto è il costo che si dovrà pagare per farla calare, parlo di rallentamento economico e crescita della disoccupazione come conseguenza dell’aumento dei tassi. Ma un’inflazione bassa e stabile è di gran lunga preferibile a un’inflazione alta e stabile che rischia di impoverirci tutti. Ecco, credo che la credibilità della Bce nel combattere questo fenomeno sia ancora tutta da costruire”. 


Non tutti hanno una visione così rigorosa della funzione della politica monetaria e così pessimistica delle prospettive d’inflazione. Punti di vista opposti animano un dibattito che va avanti da mesi. Secondo Lucio Poma, economista di Nomisma, l’aumento dell’1,2 per cento dell’inflazione a giugno rispetto a maggio risente, sì, di un “effetto gocciolamento” del tessuto imprenditoriale, ma è in buona parte ancora spinto dai beni energetici e dai costi della logistica. “Beninteso, neanch’io ho mai considerato l’inflazione come transitoria  – avverte Poma – questa è una cosa che si è inventato qualche banchiere centrale per prendere tempo in un fase di transizione. Anche se la guerra in Ucraina finisse domani mattina, non sarebbe pensabile che i prezzi di gas e petrolio tornassero in poco tempo ai livelli del 2020. Io però non considero questa inflazione un fenomeno preoccupante, non in Europa dove vedo una carenza di materie prime, in particolare quella dei semiconduttori, che frena l’attività delle aziende”. 


Poma ha una sua ricetta per frenare la corsa dei prezzi ed è legata alla modifica dell’assetto produttivo su scala globale. “L’Europa deve riappropriarsi del controllo delle catene di approvvigionamento”, dice. Ma se anche lo facesse ci vorrebbe almeno un decennio. Nel frattempo l’inflazione corre e la Bce cosa deve fare? “Nulla, perché modificare le aspettative come ha fatto Powell, per di più sdoganando il termine ‘recessione’, è secondo me un grave errore strategico. E non dimentichiamo che l’inflazione in Europa non è scatenata dalla domanda ma dall’offerta. Prendiamo l’Italia, la produzione industriale è in crescita e il pil 2022 aumenterà più del previsto, al 2,9 per cento. Ma quando ci ricapita più? Vogliamo cancellare tutto questo? E allora, sì, aumentiamo i tassi…

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