(foto di Shaah Shahidh su Unsplash)

Dazi amari sul gas

Divieto di assicurazione e tariffe sull'import sono meglio del price cap

Luciano Capone

"Bisogna mettere sabbia nell’ingranaggio russo e c’è una misura che lo fa bene: il divieto per le compagnie occidentali di assicurare le navi che commerciano carichi russi”. Parla Daniel Gros, direttore del Centre for European Policy Studies

Dopo le prime mosse a costo zero, in Occidente si inizia a discutere delle sanzioni contro la Russia, di come calibrarle per renderle più efficaci. Da quando le contromisure si sono spostate sull’energia le divergenze sono aumentate, da un lato perché queste sanzioni comportano una ricaduta sulle economie occidentali, dall’altro perché per ora non sembrano avere effetti su Mosca che incassa più di prima per via dell’aumento dei prezzi. Daniel Gros, direttore del Centre for European Policy Studies (Ceps), fa parte di quegli economisti che da mesi propongono un dazio sulle importazioni di gas e petrolio russi. E non ha cambiato idea. “Quando ci chiediamo quale sanzione funziona meglio, da economisti pensiamo a quella che ha un migliore rapporto costo/beneficio – dice al Foglio –. E su questo versante il dazio è l’arma migliore. Ma il dazio si può applicare solo con un gruppo di paesi amici, come Unione europea, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone”. Restano fuori tutti quei paesi, come ad esempio India e Cina, che non impongono sanzioni e che importano una massa crescente di petrolio.

 

“Per incidere su queste esportazioni – dice il direttore del Ceps – bisogna mettere sabbia nell’ingranaggio russo e c’è una misura che lo fa bene: il divieto per le compagnie occidentali di assicurare le navi che commerciano carichi russi”. Su questa misura, in realtà, ci sono alcune obiezioni. L’Amministrazione Biden, ma anche economisti come Olivier Blanchard, ritengono che dato il predominio delle assicurazioni anglo-europee il divieto bloccherebbe del tutto l’export russo facendo schizzare il prezzo del petrolio, con un costo eccessivo per l’occidente. “Bisogna guardare al breve termine e al lungo termine – dice il direttore del Ceps –. La Russia rappresenta il 5 per cento dell’export mondiale di petrolio. Ritengo che il divieto di assicurare i carichi faccia abbassare l’export russo di un quinto: vuol dire che mancherebbe l’1 per cento di produzione globale. Qui entra in gioco una variabile importante, l’elasticità della domanda a breve termine che è molto bassa: che manchi l’1 o il 5 per cento, il prezzo inizialmente schizza alle stelle. Ma poi torna al livello precedente”.

 

E se il divieto di assicurazione bloccasse tutto l’export e non un quinto? “Sarebbe un colpo durissimo per la Russia che dipende dal petrolio per più della metà delle sue entrate. A breve sarebbe un costo altissimo anche per noi, a medio-lungo termine un costo moderato”. Dobbiamo decidere quanto vogliamo o possiamo soffrire, ma al momento con i prezzi alti la Russia incassa di più e i nostri sacrifici sembrano inutili. “All’inizio l’effetto del prezzo può essere positivo per la Russia, ma se abbiamo un po’ di pazienza ne varrà la pena. Dipende sempre se guardiamo al breve o al medio termine. Se la politica si basa sulla prossima settimana non ce la faremo. Se il divieto di assicurazione è troppo drastico, si può pensare anche a una tariffa di 10 dollari al barile per chi assicura un cargo russo”. Un dazio sulle assicurazioni che quindi ricade anche sui paesi terzi. Queste misure diventeranno più importanti proprio quando scatterà l’embargo europeo, dopo il quale i dazi all’importazione non avranno più senso. “Tra pipeline e trasporto via nave, per il petrolio la differenza di costo è del 5 per cento. Se la Russia riorienta le esportazioni subisce solo una perdita piccola. Le misure sulle assicurazioni servono ad aumentare questi costi di esportazione e quindi a ridurre i margini”.

 

Sul gas, dove la dipendenza è più forte, Mario Draghi ha proposto un price cap europeo. Dopo il taglio delle forniture di Gazprom l’idea la convince? “E’ una specie di dazio al 100 per cento sul filo del rasoio, che scatta dopo una soglia, o tutto o niente. E’ da giocatori di poker, non mi convince. Crea incertezza, perché le forniture potrebbero essere interrotte totalmente. Poi crea problemi sulla definizione del livello di prezzo da fissare. Un dazio anche elevato, invece, agisce al margine. Se il price cap è una clava, il dazio è un fioretto”. Ma perché ora Putin taglia le forniture di gas? “L’impressione è che lo faccia perché stiamo accumulando scorte. Se arriviamo all’inverno con gli stoccaggi pieni, si riduce la sua leva. Contemporaneamente il petrolio gli sta dando più introiti del necessario, che peraltro non può spendere a causa delle sanzioni e questo gli fa apprezzare troppo il rublo. Ha così un doppio interesse a non vendere gas, uno politico e uno economico”. E allora, che fare? “Bisogna andare avanti con tutti gli sforzi e avere un po’ di pazienza per vedere gli effetti”.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali