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La difficile equazione tra bollette normali e gas non russo

Lorenzo Borga

L'Europa cerca nuovi approvvigionamenti. Ma c'è anche il problema del trasporto: la rete dei gasdotti in Europa è stata costruita negli ultimi decenni per portare il gas da est a ovest

L’Italia è alla disperata ricerca di gas naturale. Se davvero vogliamo sostituire due terzi delle forniture che normalmente ci arrivavano da Mosca, l’obiettivo posto dall’Unione europea per il 2022, dovremo trovare quasi 20 miliardi di metri cubi di gas in pochi mesi. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sta girando il mondo per strappare accordi aggiuntivi, dall’Algeria al Qatar fino a paesi più marginali per volumi di produzione come Angola, Repubblica del Congo e Mozambico ma con una notevole presenza dell’Eni (dal cui amministratore delegato Di Maio si fa accreditare e accompagnare).


Il piano del governo, presentato in Senato dal ministro Roberto Cingolani, prevede di sostituire il gas russo con quello dall’Algeria che arriva attraverso il gasdotto Trasnmed che arriva a Mazara del Vallo (9 miliardi di metri cubi), con l’aumento delle forniture di gas naturale liquefatto (Gnl) principalmente da Qatar e paesi africani (6 miliardi) e per il resto riaccendendo alcune centrali a gasolio e carbone e incrementando – per quanto possibile in tempi brevi – la portata del Tap.


Ma se anche questi nuovi approvvigionamenti dovessero davvero riuscire a sostituire in tempi brevi il gas di Putin, è decisamente improbabile che le nostre bollette tornino a livelli normali in pochi mesi. Anzi. Escludere un gigante energetico come la Russia dal mercato europeo del gas non potrà fare altro che mantenere elevati i prezzi internazionali, e soprattutto quelli europei, visto il calo dell’offerta inevitabile. Per di più nella stagione primaverile, quando ci sono le riserve da riempire per stare tranquilli il prossimo inverno. Se la nostra più valida alternativa è il gas liquefatto le illusioni di risparmiare un po’ sulle bollette evaporeranno come neve al sole.

 

Il Gnl infatti si trasporta via nave, sottoponendo il gas a temperature molto basse per trasformarlo nel suo stato liquido: ciò comporta che il mercato si espande a dismisura, quasi a livello globale, dal momento che gli unici limiti agli scambi sono il costo di trasporto e la presenza di rigassificatori per ritrasformare il gas nello stato gassoso. Niente più costosi e rigidi gasdotti che richiedono anni per essere costruiti. E in un mercato globale ad aggiudicarsi la merce è chi è disposto a pagarla di più. Non è un caso che in Europa si siano riversate notevoli quantità di Gnl – più che in passato – proprio quando dall’inizio dell’inverno i prezzi hanno iniziato a impennarsi e le navi tanker cariche di gas liquefatto dirette in Cina hanno fatto dietrofront e cambiato rotta verso l’Europa. Simone Tagliapietra, analista energetico di Bruegel, ha usato una metafora efficace per descrivere questa condizione: usare il Gnl al posto del gas russo è come lavare l’auto all’autolavaggio non con l’acqua ma con il Dom perignon. Ed è proprio questo il motivo per cui anche la proposta di un prezzo massimo europeo sul gas importato rischia di essere velleitaria: rischiamo che nessuno sia disposto a vendercelo più.


Ma non è solo il prezzo a impensierire gli esperti di fronte ai piani europei di abbandonare Mosca. Come spiegato, trasportare il gas non è facile quanto scambiarsi petrolio. E la rete dei gasdotti in Europa è stata costruita negli ultimi decenni per trasportare il gas da est a ovest. Se il flusso dovesse cambiare, dovremmo modificare anche la rete con cui ci scambiamo il gas. Due esempi: se chiudessimo i rubinetti orientali, il sud Europa diventerebbe la porta delle nuove forniture. Il gas algerino entrerebbe dall’Italia e dalla Spagna, ed è dunque decisamente improbabile che ci potremmo tenere tutto il gas in arrivo da Algeri. Una parte dovremmo evidentemente venderla a nord e spedirla verso la Germania: in questo caso fortunatamente il gasdotto c’è, dal Passo Gries attraversa la Svizzera. La Spagna invece rischia di essere un porto sconnesso dal resto d’Europa: ha sei rigassificatori e può dunque ricevere il gas liquefatto necessario per sostituire la Russia, ma non può spedirlo in Francia e nel resto del continente. Da anni i governi dei due paesi discutono di costruirne di nuovi, ma a oggi l’infrastruttura non è all’altezza.


L’Europa vuole e deve sfuggire al ricatto energetico di Mosca, a cui paghiamo ogni giorno più di 500 milioni di euro per comprare il gas. Ma i piani a breve termine rischiano di dimostrarsi troppo ambiziosi, a meno che qualcuno – a Berlino – non si renda conto che senza nucleare la Germania e l’Europa intera rischiano di trovarsi a corto di energia.
 

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