Spegnere la luce per Kyiv? Perché l'Europa deve agire sull'energia

Luciano Capone

Le sanzioni contro Mosca sono dure, ma non sufficienti. Se la sfida è totale, l'Ue deve smettere di comprare petrolio e gas dalla Russia perché sta finanziando la guerra di Putin all'Ucraina

Illuminare la Torre Eiffel a Parigi, la Porta di Brandeburgo a Berlino, il Colosseo a Roma e gli altri principali monumenti delle città europee con i colori della bandiera ucraina ci è sembrato un importante gesto di unità e solidarietà nei confronti di un popolo assediato. In realtà, l’effetto pratico è opposto: consumando energia stiamo finanziando l’invasione di Vladimir Putin. Spegnere una luce in più, anziché illuminare le città con i colori dell’Ucraina, è forse meno romantico ma sarebbe sicuramente più utile.

 

E’ di questo che l’occidente, e in particolar modo l’Europa, dovrebbe iniziare a discutere. Perché le sanzioni senza precedenti inflitte alla Russia, dalla sospensione di alcune banche dalla rete Swift al congelamento della metà delle riserve della Banca centrale passando per l’interruzione delle relazioni commerciali, hanno inflitto un duro colpo all’economia russa e al rublo, ma non piegheranno realmente Putin finché non includeranno l’energia. Ovvero ciò che finora si è deliberatamente scelto di escludere, per l’impatto negativo sull’economia globale e in particolare su quella europea che è strettamente dipendente dalle forniture russe di petrolio e soprattutto di gas.

 

Ogni giorno, da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, Putin incassa 700 milioni di dollari dai paesi occidentali (300 milioni solo per il gas venduto all’Europa). L’occidente con le sanzioni sta tentando di provocare un infarto economico alla Russia, ma è evidente che senza un’interruzioneo quantomeno una riduzione del flusso di dollari che scorre attraverso le arterie dell’energia Putin potrà resistere ancora a lungo. Anche perché la guerra, provocando un aumento del prezzo dell’energia (il greggio ha superato i 110 dollari, ai massimi da otto anni), riesce in un certo senso a finanziarsi da sola.

 

La Russia ha un surplus della partite correnti di 120 miliardi di dollari, che dipende dall’export di energia che vale 240 miliardi, di cui oltre la metà è venduta all’Ue, e che fornisce quasi il 40% delle entrate fiscali. E’ evidente che se si vuole colpire sul serio l’economia russa, se si intende togliere la benzina ai carri armati, è qui che bisogna agire. Il grosso dell’export russo riguarda greggio e prodotti petroliferi, complessivamente pari a circa 180 miliardi di dollari. E’ questo il vero motore economico della Russia. Per i paesi europei, che assorbono la metà dell’export petrolifero, è possibile sostituire la Russia con altri paesi produttori, magari attraverso un’azione coordinata con gli Stati Uniti. E’ vero che in un mercato globale, allo stesso modo, la Russia può sostituire gli acquirenti, rivolgendosi alla Cina (che già ora assorbe il 28% dell’export petrolifero) e al sud-est asiatico (9%), ma l’embargo europeo indebolirebbe comunque il potere contrattuale della Russia costringendola a vendere a sconto (cosa che peraltro sta già accadendo a causa delle sanzioni finanziarie).

 

Discorso diverso per il gas naturale, che rappresenta oltre 54 miliardi di dollari di export, assorbito per il 64% dall’Ue. A causa della nostra eccessiva dipendenza, il gas è ritenuto un punto debole dell’Ue nel timore di un taglio delle forniture come misura ritorsiva da parte di Putin. Ma bisogna considerare che la dipendenza è reciproca: entrambe le parti sono vincolate dalle infrastrutture. Se l’Europa riducesse gli acquisti di gas, a differenza del petrolio Putin non potrebbe venderlo ad altri. Come a noi serve tempo per diversificare le fonti di approvvigionamento, ne serve a lui per costruire gasdotti verso la Cina. Il punto quindi è: può l’Europa rinunciare al gas russo? A quale costo? Ed è disposta a sopportarlo?

 

Secondo un report di Algebris, l’Europa può rimpiazzare il 62% del gas russo importando più gas liquefatto (Gnl), evitando lo stop del nucleare in Germania, aumentando le estrazioni, usando il petrolio per la produzione di elettricità, etc. Tutto ciò avrebbe un costo elevato, viste le quotazioni del Gnl (162 miliardi di euro in più), e comunque sarebbe necessaria una riduzione dei consumi visto che gli stoccaggi di gas si esaurirebbero in meno di un anno. Non sarebbe una scelta indolore. E i cittadini europei dovrebbero essere pienamente consapevoli del costo sociale ed economico.

 

Ma se quella di Putin è una guerra contro l’Europa, ed è escluso l’intervento militare diretto, presto gli europei dovranno chiedersi se possono permettersi di continuare a finanziare l’invasione dell’Ucraina, la distruzione di Kiev e il massacro della popolazione. O se invece non sia il caso di organizzare, insieme agli Usa, una risposta energetica. Se necessario, abbassando i termostati e spegnendo qualche luce.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali