La raffineria tedesca di Leuna, dove arriva il petrolio russo. Foto Getty

Non c'è solo il gas. La Russia ha un punto debole: il petrolio

Maria Carla Sicilia

Perdendo le esportazioni verso i paesi europei, che rappresentano il 60 per cento del totale, Mosca sarebbe costretta a virare verso la Cina. Ma la mancanza di infrastrutture e l'aumento dei costi sarebbero un problema per Putin

Se l’escalation degli ultimi giorni in Ucraina non ha ancora coinvolto il settore dell’energia è perché anche la Russia deve ponderare bene quanto costa rinunciare a circa il 40 per cento del suo bilancio federale. Soprattutto ora che le sanzioni internazionali si stanno rivelando tanto dure da poter causare il collasso della sua economia. Non dev’essere un caso se Vladimir Putin ha preferito minacciare l’opzione nucleare prima ancora di minacciare l’interruzione delle forniture di gas verso l’Europa, che continuano senza variazioni attraverso i gasdotti fin da prima che scoppiasse la guerra. Poco meno della metà del bilancio federale russo dipende infatti dalle entrate legate a gas e petrolio. E mentre per l’Europa fare a meno del primo significherebbe attivare una serie di protocolli di emergenza a caro prezzo, fare a meno del secondo è un affare di tutt’altro spessore. Per la Russia, che è il terzo produttore globale di petrolio, è quasi vero il contrario: l’export di greggio pesa il doppio di quello di gas in base ai dati forniti dalla banca centrale russa sulla bilancia dei pagamenti del 2021 e circa il 60 per cento delle vendite all’estero riguardano l’Unione europea. 

Guardando ai numeri emerge che il petrolio rappresenta quasi la metà delle esportazioni russe, mentre il gas naturale il 6 per cento. Quello che viaggia attraverso i gasdotti vale 54,2 miliardi di dollari, mentre il petrolio rappresenta 110,2 miliardi e i prodotti petroliferi 68,7, su poco meno di 490 miliardi di dollari di esportazioni totali. Considerando che secondo l’Agenzia internazionale dell'energia (Aie) la quota di petrolio russo diretto in Europa è il 60 per cento di quello esportato, si può facilmente calcolare che il mercato europeo del petrolio vale per la Russia circa 66 miliardi di dollari. Transneft, l’operatore russo delle reti, ha consegnato 35,9 milioni di tonnellate di greggio attraverso il sistema di oleodotti Druzhba, che per ironia della sorte significa “Amicizia”. Si tratta di 720 mila barili al giorno a cui vanno aggiunti i prodotti petroliferi raffinati, principalmente diesel, olio combustibile e nafta che viaggiano via nave. Come per il gas è in particolare la Germania, e in questo caso le sue raffinerie, a dipendere dalle importazioni di Mosca. Ma anche la Polonia lavora molto del greggio russo che arriva in Europa. 

Druzhba ha due rotte principali verso l’Europa: la prima è una linea settentrionale che serve il porto di Ust-Luga e le raffinerie in Polonia e Germania. La tappa meridionale è meno estesa e attraversa l’Ucraina verso l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Secondo l’Aie – che continua a monitorare il mercato e che oggi terrà una riunione straordinaria per discutere dell’impatto della guerra – è quest’ultima la tratta più a rischio in caso di inasprimento della crisi. Da qui transitano 250 mila barili al giorno, ma Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ampie scorte di emergenza a cui attingere in caso di necessità, specifica l’Aie. 
Visto dalla prospettiva europea il rapporto con la Russia è comunque delicato. Mosca resta il primo fornitore anche per il petrolio, ma dagli altri paesi ci sono margini per incrementare i flussi: una quota di circa l’8 per cento arriva rispettivamente da Nigeria e Arabia Saudita, Kazakistan e Norvegia inviano un altro 7 per cento ciascuno. 

Dal canto suo la Russia avrebbe più difficoltà a riposizionare le esportazioni di greggio. Mentre la Cina è potenzialmente interessata a un incremento del gas che riceve e il progetto del gasdotto Power of Siberia 2 lo dimostra, trasferire il petrolio destinato all’Europa sarebbe più complicato perché mancano infrastrutture. Come nota Bloomberg,  se le esportazioni verso ovest si interrompessero, una parte della produzione petrolifera russa dovrebbe fermarsi o essere spedita con le petroliere dal Mar Baltico e dal Mar Nero – attraverso le acque europee – verso l’Asia. Un’operazione dai costi e dalla logistica tutt’altro che banale. 

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.