gli effetti delle sanzioni

L'infarto economico indotto alla Russia di Putin

Luciano Capone

L’Occidente sta provocando un blocco all’economia russa: recessione, inflazione, corsa agli sportelli. Le misure contro l'invasione dell'Ucraina hanno portato l'assedio a Mosca e a pagarne le conseguenze saranno i russi, finché Zar non farà marcia indietro

Vladimir Putin ora la guerra ce l’ha anche in casa e riguarda la sua economia, messa sotto assedio dai paesi europei e occidentali. Quando nel 2019 si ipotizzava la sospensione della Russia dalla rete di pagamenti internazionali Swift, l’allora primo ministro, il braccio destro di Putin Dmitri Medvedev, dichiarò che sarebbe stato come “un pugno in faccia: è una dichiarazione di guerra”. Ora siamo ben oltre. L’esclusione da Swift è solo una delle sanzioni imposte, il cui impatto complessivo è molto più dannoso di un cazzotto. E’ come se l’Occidente stesse provocando un arresto cardiocircolatorio all’economia russa.

 

Oltre alle più ordinarie sanzioni a politici, oligarchi e società russe, le misure prese in risposta all’invasione dell’Ucraina puntano a paralizzare l’intera economia russa, sia ostacolando la circolazione nel sistema finanziario internazionale sia paralizzando il muscolo che pompa la liquidità e regola la pressione. Oltre a tagliare le banche russe fuori dalla rete delle transazioni internazionali, le sanzioni occidentali prevedono infatti il congelamento delle riserve in valuta estera della Banca centrale russa. È come provocare un infarto.

 

Per la Russia, che proprio in previsione di uno scontro con l’Occidente aveva accumulato circa 630 miliardi di dollari di riserve (pari al 38% del pil), quella montagna di denaro è diventata per una buona metà inutilizzabile e così per la Banca centrale è impossibile difendere il cambio. Come era prevedibile, ieri il rublo è crollato del 30% rispetto al dollaro, un collasso che probabilmente non si vedeva dai tempi della drammatica crisi finanziaria del 1998 che portò la Russia al default. La Banca centrale russa ha reagito nell’unico modo possibile per cercare di arrestare la svalutazione, più che raddoppiando i tassi di interesse, che sono saliti in un giorno dal 9,5 al 20%. La governatrice Elvira Nabiullina ha ammesso che “le condizioni per l’economia russa sono cambiate drammaticamente” e ha annunciato che la Banca centrale russa “userà in modo molto flessibile tutti gli strumenti del caso”. Questa specie di whatever it takes in salsa russa non è stato molto convincente, anche perché le frecce nella faretra della Banca centrale sono spuntate. E, infatti, quasi in contemporanea al rialzo dei tassi il ministro delle Finanze ha aggiunto l’obbligo per le aziende di convertire in rubli l’80% dei loro ricavi in valuta estera.

 

È evidente che il paese va verso un controllo dei capitali, per impedirne la fuga. Ma è altrettanto probabile che, in uno scenario del genere di svalutazione e semiparalisi della Banca centrale, i risparmiatori siano indotti a correre agli sportelli. Questo, a sua volta, dovrà probabilmente spingere il governo a bloccare o contingentare i prelievi e a salvare le banche che rischiano seriamente di saltare gambe all’aria. Peraltro, a differenza di altre crisi finanziarie, in questa situazione è praticamente impossibile per governo e banca centrale ristabilire la fiducia tra imprese e risparmiatori. Perché in questo caso la crisi non è dovuta a fenomeni di panico che possono essere transitori, ma dalla presenza di sanzioni internazionali che possono essere tolte o alleggerite solo nel caso di un segnale politico forte come una marcia indietro di Putin.

 

L’arresto cardiocircolatorio finanziario non impiegherà molto a trasmettere i suoi effetti nella cosiddetta economia reale. La Russia entrerà in recessione e contemporaneamente importerà un’elevata inflazione. Vorrà dire che tutte le importazioni diventeranno molto più costose, ad esempio nel settore dell’automotive, dei farmaci e di tutto ciò che è tecnologico, e al contempo la popolazione dovrà ridurre anche gli altri consumi del mercato domestico. Ci sarà, in pratica, un sostanziale arretramento nella qualità della vita delle persone in un paese che ha già un’economia molto fragile. La Russia, infatti, non si è ancora ripresa dalla recessione del 2014-15, dovuta al contemporaneo crollo dei prezzi del petrolio e alle sanzioni europee per l’annessione della Crimea. Ora il prezzo di gas e petrolio sta salendo molto, ma l’entità delle sanzioni è incomparabile con quelle del 2014. All’epoca l’ex ministro delle Finanze Alexei Kudrin dichiarò che la sola esclusione della Russia dalla rete Swift, di cui all’epoca si discuteva, avrebbe provocato un crollo del pil del 5%. Ora le misure adottate sono molto più dure e colpiscono la funzionalità della Banca centrale, aggiungendo i danni dell’inflazione a quelli della recessione. L’unica fonte di sopravvivenza per Putin è l’afflusso di denaro pregiato dalla vendita di petrolio e gas, ma proprio questo rende ancora più spuntata la minaccia di chiudere i rubinetti del gas all’Europa.

 

Con la sua sfida militare Putin di fatto ha messo sotto assedio due popoli, gli ucraini circondati dai carri armati russi e i russi asfissiati dalle sanzioni occidentali. Entrambi i popoli pagheranno pesanti conseguenze e a entrambi toccherà resistere, fino a quando lo zar deciderà di fare o sarà costretto a fare un passo indietro.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali