Attaccati al gas, l'errore strategico dell'Europa sul gas di Putin

Luciano Capone

Mentre Putin si preparava alla guerra dal 2014, l’Ue si è resa sempre più dipendente dalle sue forniture energetiche. Ciò rende più difficile una reazione immediata, ma la rende necessaria nel lungo termine

Se la Russia invade l’Ucraina e l’Europa prima non è riuscita a impedirglielo e ora fa fatica a reagire, è perché Vladimir Putin si è preparato a lungo a fare la guerra e a subirne le eventuali conseguenze. Mentre le leadership europee no. Così ora ci ritroviamo in una situazione in cui la debolezza strutturale dell’economia russa come l’eccessiva dipendenza dagli idrocarburi è diventata il suo punto di forza. Con il paradosso che, con il prezzo del gas in costante aumento, l’Europa non solo non riesce a fermare la marcia di Putin su Kiev ma la sta finanziando. Tutto ha origine dalla sottovalutazione della crisi in Ucraina a partire dal 2014. 

 

Dopo l’annessione russa della Crimea e l’abbattimento del volo della Malaysia Airlines, l’Unione europea insieme agli altri paesi occidentali ha imposto una serie sanzioni (più lievi di quelle di cui si discute ora) che hanno avuto qualche effetto che è stato amplificato dal contemporaneo crollo del prezzo del petrolio, la principale fonte di export russo. Nel 2014 il rublo è crollato e il paese è entrato in una recessione da cui non si è ancora del tutto ripreso. La Russia ha reagito alle sanzioni occidentali con delle controsanzioni che però hanno prodotto più danni all’economia russa che a quella europea. Secondo le stime del Fmi, nel 2015 l’insieme di sanzioni e contro-sanzioni hanno ridotto il pil russo dell’1-1,5%, con un impatto di lungo termine cumulato pari a 9 punti di pil per via della riduzione degli investimenti. Mentre l’impatto sull’Europa è stato del tutto marginale. E questo per il semplice fatto che l’Ue assorbe circa il 40% dell’export russo, principalmente materie prime e idrocarburi, mentre la Russia rappresenta solo il 5% dell’export dell’Ue.

 

In questo senso, Mosca è molto più esposta alle sanzioni e all’interruzione delle relazioni commerciali con l’Europa che viceversa. E questo soprattutto se parliamo di un’economia come quella russa caratterizzata da una bassa crescita e seri problemi strutturali: invecchiamento della popolazione, produttività stagnante, scarsa integrazione nelle catene globali del valore ed eccessiva dipendenza dalle fonti fossili come gas e petrolio, che rappresentano circa il 20% del pil, il 40% delle entrate fiscali e il 50% dell’export. Ma Putin, ben consapevole di queste fragilità, ha passato gli ultimi 8 anni a prepararsi, a costruire dei cuscinetti di sicurezza e a rendere l’economia russa meno scoperta alle reazioni occidentali. Dalla crisi del 2014 la Russia ha ridotto la sua posizione esterna e de-dollarizzato la sua economia, ha adottato una politica fiscale austera, una incisiva riforma delle pensioni, ha portato avanti una politica “protezionista” autarchica” di import substitution e, grazie all’aumento del prezzo del petrolio, ha accumulato riserve internazionali ora pari a 640 miliardi di dollari (oltre il 40% del pil). Infine ha cercato e trovato sponde in Cina. Così, quando i prezzi dell’energia sono saliti, ha sferrato l’attacco all’Ucraina per portare a termine la sua opera di ri-conquista iniziata dopo la rivoluzione di Euromaidan del 2014 con l’annessione della Crimea.

 

Insomma, Putin ha scavato delle trincee e accumulato munizioni per rendersi più autonomo e si è attrezzato a resistere alle sanzioni occidentali. Esattamente ciò che non ha fatto l’Europa, su una materia prima strategica come il gas. Non solo la Russia è ancora il principale fornitore di gas dell’Ue, ma la sua incidenza è aumentata. Se nel 2015, dopo lo scoppio della crisi ucraina, la Russia rappresentava il 36% delle importazioni di gas nell’Ue nel 2021 quella quota è arrivata al 38%, dopo aver toccato il picco del 41% nel 2018. E così, mentre Putin si rendeva più autonomo dall’Europa, l’Europa si rendeva più dipendente dal suo gas. “Le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni”, ha detto ieri alla Camera il premier Mario Draghi riferendosi alla scelta dell’Italia di abbattere la produzione domestica di gas negli ultimi decenni.

 

Ma purtroppo non si tratta di un errore solo dell’Italia. E’ stato l’errore strategico di tutta l’Europa, che ha valutato la crisi del 2014 come una specie di incidente di percorso nei rapporti con un partner tutto sommato affidabile: tanto da continuare ad affidargli i rubinetti del gas dell’Ue. E così l’eccessiva dipendenza dal gas, che è uno dei punti di debolezza dell’economia russa, si è trasformata nel punto di forza di Putin per via dell’eccessiva dipendenza dal gas russo dell’economia europea. L’errore delle leadership europee è stato enorme. Deve insegnare non solo che l’Ue deve reagire immediatamente alla sfida di Putin, ma che dovrà continuare a farlo nel medio e lungo periodo con un obiettivo strategico diverso da quello del 2014: ora è evidente che la Russia di Putin è una minaccia per la sicurezza e la stabilità dell’Europa.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali