Biometano e idrogeno, il riscatto della monnezza

Fabio Bogo

L’Italia cerca energia e gas ed è sommersa dai rifiuti. Renato Mazzoncini (A2A) e una visione controcorrente sui termovalorizzatori

E se cancellassimo il tabù dei termovalorizzatori e accelerassimo anche sul biogas? Proviamo a spiegarla così. Su un piatto della bilancia c’è una montagna di rifiuti, quella che l’Italia produce ogni anno: quelli urbani sono 30 milioni di tonnellate, e di queste ben 6,3 milioni di tonnellate finiscono direttamente in discarica (gli fanno compagnia 11,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali). Sull’altro piatto il caro gas: il prezzo di importazione è passato da 28 centesimi a metro cubo del primo trimestre 2021 a 96 centesimi di inizio 2022, con riflessi pesantissimi per le bollette delle famiglie, per le imprese e per il bilancio pubblico che accumula nuovo deficit per gli interventi di sostegno. In mezzo c’è un’opportunità, quella di sfruttare il primo problema per alleviare il secondo: trasformare i rifiuti in energia producendo elettricità, biometano o idrogeno. Con il vantaggio ulteriore di ridurre la quantità di scarti urbani che finiscono inerti nelle discariche, spingendole verso l’estinzione. Cosa la frena?

La ragionevole prudenza ambientalista è contornata dal secco no del partito Nimby, dall’ideologia che travisa furbescamente le indicazioni di Bruxelles, dall’inerzia delle amministrazioni, dall’ignoranza sui progressi delle nuove tecnologie. “C’ è un potenziale enorme sprecato in Italia – dice Renato Mazzoncini, che guida A2A, la maggiore delle utilities che forniscono luce, acqua e raccolta rifiuti ai cittadini italiani – e lo dimostrano i numeri. Sul consumo di gas in Italia, utilizzato per riscaldamento, industria, produzione di elettricità, la quota di biometano domestico prodotto dal trattamento degli scarti è appena dell’1 per cento: può arrivare al 10. E se consideriamo che il consumo di gas comunque in futuro scenderà, con il progresso delle altre fonti di energia, in futuro la quota di autoproduzione nazionale potrà salire sopra il 10 per cento, rendendo l’Italia progressivamente meno vulnerabile sul fronte energetico”. 

Insomma, i rifiuti sono una ricchezza. E sono tanti. Dodici milioni di metri cubi finiscono ogni anno in discarica, l’equivalente in volume di 26 volte il duomo di Milano. “Entro tre anni – spiega Mazzoncini – le discariche italiane saranno sature; ed è la media del pollo di Trilussa. Perché in qualche regione la differenziata riuscirà a progredire verso i benchmark europei, in altre no. O si decide di costruire impianti, o sarà il disastro”. I segnali di resa già si vedono. A Roma si pensa di ripristinare le discariche che erano gestite dal re dei rifiuti Manlio Cerroni per stipare gli scarti della città: tra la Capitale e la differenziata il feeling non è mai scoppiato, e i miglioramenti promessi dal sindaco Gualtieri per ora non sono così evidenti. E Napoli rivede l’incubo del 2008, quando l’immondizia arrivava fino alle finestre dei piani rialzati delle abitazioni.

Avanti allora con gli impianti, compresi i termovalorizzatori? Obiezione: questi ultimi inquinano, e se si prende quella strada si abbandona il percorso virtuoso della differenziata e delle rinnovabili. “E’ sbagliato – ragiona Mazzoncini – ed ecco perché. Intanto perché rinunciare ai termovalorizzatori significa prolungare la vita delle discariche. Poi perché gli impianti bruciano roba biogenica, tipo legno. Insomma si alimentano con roba di origine green, e producono energia green”. Ideologia, quindi? Legambiente è l’associazione ambientalista più pragmatica sulla transizione ecologica. “Bisogna ridurre il consumo di gas – dice Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – e accelerare sulle rinnovabili, ma i rifiuti sono una risorsa. Noi non crediamo nei termovalorizzatori, non c’è lo spazio per farli. Bene invece investire nei biodigestori, soprattutto al sud, nell’idrogeno e in impianti che trasformino chimicamente il rifiuto in carburante”.

L’importante è non chiudersi le porte dietro un assioma sbagliato, e schermarsi dietro un divieto Ue a costruire nuovi impianti. Che non c’è.  La Ue, ad esempio, dice che i termovalorizzatori non possono essere finanziati con il Pnrr, ma non li vieta. “Bruxelles sostiene in maniera equilibrata tutte le forme di energia verdi – dice Mazzoncini – cioè anche idrogeno e biometano: non parla solo di pale eoliche o di pannelli”. E l’energia verde può arrivare sicuramente anche dagli scarti. I progressi tecnologici e l’emergenza in arrivo cominciano a incrinare la compattezza del fronte schierato per la soluzione della crisi rifiuti affidata solo alla raccolta selettiva. In Sicilia, ultima per differenziata in Italia, la criticità dei cassonetti è affare quotidiano, e il governatore Musumeci spinge per avere due termovalorizzatori sull’isola. A Ferrara la giunta ha deliberato l’incremento dei rifiuti da conferire all’inceneritore. In Campania l’impianto di Acerra, prima demonizzato, ora è considerato fondamentale per l’equilibrio della raccolta. Si costruisce anche a Corteolona, vicino Pavia, e si lavora in Calabria.  “Con fatica enorme e irrazionale dal punto di vista delle autorizzazioni – dice Mazzoncini – ma si va avanti”. Anche innovando. A Brescia si punta a usare un termovalorizzatore per produrre idrogeno, una nuova frontiera. “I rifiuti devono essere trattati sul posto – spiega ancora Mazzoncini – non ha senso farli viaggiare per l’Italia o verso l’estero. E possono produrre idrogeno. Noi di A2A abbiamo progettato di produrlo in Val Camonica. Come? Con un termovalorizzatore, dove conferire materiale biogenico al 50 per cento che alimenti gli elettrolizzatori necessari a separare le molecole dell’acqua e a produrre idrogeno. Il risultato finale sarà utilizzato per la rete dei treni. Vogliamo creare una hydrogen valley, che sarà il ponte tra rifiuti ed energia green”. Niente pannelli solari per l’idrogeno, allora? “Non conviene, ci sono dei limiti evidenti. Il termovalorizzatore è compatto. Quello di Brescia produce tanta energia quanto un campo di 4 milioni di metri quadri di pannelli solari. Avete idea di quanti sono 4 milioni di metri quadri?”. Sono circa 70 campi di calcio. Un po’ troppo. Ma l’inquinamento prodotto dal termovalorizzatore? Mazzoncini si sfoga. “L’industria dell’acciaio nel nostro paese è nata perché abbiamo recuperato i rottami di ferro, non perché avevamo le miniere. Quindi usiamo di più i rifiuti. Termovalorizzatori, ma anche biometano ottenuto con i biodigestori dai rifiuti umidi urbani, tipo le bucce della frutta, o con i reflui della zootecnia. E poi attrezziamoci  a creare delle gigafactory per le batterie. Non abbiamo litio e cobalto nel nostro sottosuolo, ma possiamo rigenerale le batterie usate”. 

Sembra una manifestazione di poca fiducia verso le rinnovabili più richieste, come solare ed eolico. Ma Mazzoncini sostiene che non è così. “Crediamo tutti nella necessità di una decarbonizzazione totale al 2050, ma nessuno può pensare che ci si arrivi solo con l’elettrone. Servono anche molecole green. L’auto sicuramente potrà essere a batterie, ormai non si torna indietro. Ma nessuno crede che la batteria potrà essere il motore per un aereo, per una nave che arriva dalla Cina portando tonnellate di merci o un per Tir che deve fare tratte di duemila chilometri a botta”. Batterie, pannelli, pale eoliche, colonnine, biodigestori. Chiediamo a Mazzoncini se non pensa che ci sia troppa carne al fuoco e poca unità di direzione. E troppa resistenza al cambiamento. “Sicuramente c’è molta ignoranza e anche difficoltà a comunicare le cose positive, a far capire che dobbiamo sprecare di meno. Specialmente sui rifiuti. Ma anche poca chiarezza sulla direzione da prendere da parte dei regolatori. Prendiamo ad esempio il Tap. Abbiamo sprecato anni a discutere sulle possibili conseguenze che avrebbero patito gli ulivi, e a quanto sembra non ce ne sono stati, senza guardare avanti. Solo ora ci rendiamo conto di essere completamente dipendenti dal gas russo. E il Tap adesso ci sta dando una grossa mano: se ci avessimo pensato prima poteva essere raddoppiato e aiutare di più le forniture”.

Servono direttive strategiche sull’energia, insomma. “Certo. Prima si stabilisce la politica industriale nazionale su alcuni temi poi si procede. Biogas? si dica sì o no. E così anche per la rete capillare di distribuzione per le auto elettriche, per le pale eoliche. Poi si agisce. Ma senza – conclude Mazzoncini – è solo Far West. Che rallenta tutto. Mentre i rifiuti crescono”.

Di più su questi argomenti: