Mario contro Dario, non è tecnica contro politica

Luciano Capone

Le tensioni tra Draghi e Franceschini sono state descritte come lo scontro tra "il tecnico" e "il politico". Ma se si guarda il merito delle scelte, al di là di narrazioni e stereotipi, si vede che l'opposizione del premier a misure come il Bonus Facciate è sia tecnica che politica

L’immagine di Mario Draghi che, prima incontra il Presidente della Repubblica, e poi fa una “strigliata” ai partiti dando un ultimatum alla maggioranza che non segue le indicazioni del governo ha un qualcosa di antipolitico: il tecnico che si vuole imporre sulle forze politiche che non rispettano gli accordi e fanno prevalere gli interessi particolari a quelli del paese. Si tratta ovviamente di una narrazione, tipica della comunicazione e dell’informazione politica. Alla quale, in una certa fase, se n’è opposta un’altra. Quella dei leader di partito che rivendicano “il primato della politica”, e quindi la rappresentanza democratica degli interessi e dei bisogni sociali rispetto alla cieca gestione tecnocratica e alle ottuse necessità contabili.

 

Chi, più di tutti, ha incarnato questa narrazione è stato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che, dall’alto della sua esperienza, pur avendo un rapporto corretto con il premier, è stato uno dei pochi che è riuscito a “tenere testa” a Draghi. Mentre gli altri ministri, vuoi per convinzione vuoi per soggezione, generalmente non hanno battuto ciglio rispetto alle indicazioni dell’ex presidente della Bce, le cronache dei Consigli dei ministri riportano che Franceschini è riuscito diverse volte non solo a contestare in maniera frontale alcune scelte, ma anche a imporsi facendo fare marcia indietro a Draghi. E questo è accaduto, in particolare, con alcune misure fiscali che il premier avrebbe preferito modificare, ridurre o addirittura abolire.

 

Ma spesso le narrazioni rischiano di diventare delle prigioni concettuali, che impediscono di guardare e valutare il merito delle scelte. Prendiamo il Bonus facciate, ribattezzato dal Mibact “norma Franceschini”. Si tratta di un credito d’imposta del 90 per cento che consente di rifare le facciate dei palazzi senza alcun tetto di spesa (e anche senza controlli). Draghi avrebbe voluto eliminare, ovvero non rinnovare l’agevolazione che era in scadenza, perché eccessivamente costosa e iniqua: un bonus esagerato, di cui beneficiano soprattutto i benestanti della ztl, che non ha le caratteristiche di “debito buono”. Dopo un confronto serrato con il premier, alla fine il ministro dei Beni culturali l’ha spuntata ottenendo una proroga del bonus, anche se ridotto al 60 per cento. Un trionfo della politica sui tecnicismi di bilancio. Il problema è che, come hanno mostrato i dati dell’Agenzia delle entrate, oltre a essere costato uno sproposito (13,6 miliardi), il Bonus facciate è stato caratterizzato da una mole impressionante di truffe (quasi la metà dei 4,4 miliardi di frodi che hanno riguardato tutti i bonus edilizi), tanto che il ministro dell’Economia Daniele Franco, che siede nello stesso governo di Franceschini, ha parlato di “truffe che sono tra le più grandi che questa Repubblica abbia visto”. Si può parlare di un "successo della politica” sulla tecnocrazia e di una prevalenza dei bisogni sociali rispetto ai vincoli di bilancio?

 

Qualcosa di analogo era accaduto con il cosiddetto Bonus cultura : il trasferimento da 500 euro, introdotto dal governo Renzi, per per chi compie 18 anni da spendere in libri, musei, spettacoli, musica, teatro. Anche in questo caso Draghi intendeva intervenire per mettere dei paletti utilizzando un criterio patrimoniale e reddituale, come l’Isee, per evitare di dare il bonus ai figli dei ricchi al fine di aiutare solo i giovani delle famiglie più povere. Anche in questo caso Franceschini l’ha spuntata, perché “lo spirito della norma è dare sostegno al settore”.

 

Una caratteristica, questa, abbastanza ricorrente nei provvedimenti di Franceschini, come si è visto già con il Bonus facciate. Basti ad esempio considerare la proposta su cui il ministro del Pd ha insistito molto durante il governo Conte. No, non si tratta di ItsArt, la “Netflix della cultura italiana” che come prevedibile non sta andando benissimo ed è già al terzo amministratore delegato in 10 mesi di vita. Ma della legge che proibisce sconti superiori al 5 per cento sui libri. Anche in questo caso, Franceschini lo disse chiaramente, lo scopo era aiutare produttori e venditori. Anche al costo di penalizzare i consumatori e maggiormente quelli più poveri, costringendoli a pagare di più o a leggere meno.

 

A un certo punto bisogna uscire dagli dalle narrazioni e dagli stereotipi su “tecnici” e “politici” per guardare e valutare il merito delle decisioni. Si scoprirebbe che certe scelte fatte in nome del primato della politica e dei principi progressisti, oltre a peggiorare i conti pubblici possono essere anche inique e regressive.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali