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Conoscere per deliberare

Un Nobel per valutare le politiche pubbliche, da Quota 100 al Rdc

Andrea Garnero

Il premio a Card, Angrist e Imbens ci mostra l’importanza di misurare gli effetti delle leggi e come farlo. Salario minimo sì o no?

Il premio Nobel per l’economia è andato a David Card, Joshua Angrist e Guido Imbens, tre economisti che nel corso della loro carriera hanno mostrato come si possano utilizzare degli “esperimenti naturali” per rispondere a domande centrali per la società, come il modo in cui i salari minimi e l’immigrazione influenzano il mercato del lavoro. Ma cosa sono gli “esperimenti naturali”?

 

Facciamo un passo indietro. Nel 2019 il Nobel era andato a Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer per aver importato e generalizzato nell’analisi economica esperimenti di tipo “clinico”, cioè quegli studi che si fanno in medicina dando un farmaco (o un vaccino!) a un gruppo di persone e un placebo a un altro per identificare l’effetto causale della cura. I laureati di quest’anno, invece, hanno dimostrato come, al di là degli esperimenti di tipo clinico, disegnati a tavolino e realizzati in ambiti specifici, sia possibile anche ricorrere a “esperimenti naturali”, cioè shock esterni e inattesi per studiare l’impatto di un certo fenomeno a un livello più ampio. Un complemento metodologico fondamentale a Banerjee, Duflo e Kremer per tutti quei casi in cui esperimenti clinici non si possono fare per ragioni pratiche, politiche o etiche.

David Card, per esempio, ha cambiato il modo in cui guardiamo all’immigrazione o al salario minimo usando shock naturali, non disegnati ex ante a fini di valutazione. Studiando l’esodo cubano di Mariel (il “Mariel boatlift”) del 1980, Card ha provato che nonostante l’arrivo di 125 mila esuli sulle coste della Florida, i salari a Miami non diminuirono e la disoccupazione non aumentò rispetto ad altre città americane. Sempre Card, nel 1993, pubblicò con Alan Krueger, altro grandissimo economista e consigliere di presidenti americani purtroppo morto qualche anno fa, uno studio sull’aumento del salario minimo in New Jersey comparando i ristoranti delle contee al confine con la Pennsylvania dove il salario minimo era stato fermo. Il risultato fu che, contrariamente a un modello di domanda e offerta base, l’occupazione era aumentata nei ristoranti in New Jersey invece di diminuire. La ragione è che un diverso potere negoziale tra lavoratori e datori di lavoro causa squilibri che fino a Card e Krueger erano considerati del tutto teorici. Ad Angrist e Imbens il premio è andato soprattutto per aver mostrato quali tipi di effetti si possa sperare di stimare a seconda delle condizioni dello studio (una questione che, in realtà, serve anche nel caso degli esperimenti di tipo clinico): in un esperimento naturale, infatti, il ricercatore non ha il pieno controllo del comportamento degli individui che vuole studiare. In particolare, gli individui possono scegliere essi stessi se partecipare o meno e questo “sporca” le stime o per lo meno rende più difficile interpretare i risultati.

Ma c’è qualcosa di questo Nobel che dovrebbe interessare il cittadino comune e, nel nostro caso, il cittadino italiano? Sì, molto. Innanzitutto perché Card e Angrist, in particolare, hanno fatto studi fondamentali su salario minimo, politiche attive, immigrazione, sindacati, scuola con studi anche sull’Italia. David Card, per esempio, ha usato con Francesco Devicienti del Collegio Carlo Alberto di Torino e Agata Maida della Statale di Milano i dati sulle Comunicazioni obbligatorie di VenetoLavoro per studiare l’effetto della contrattazione collettiva su produttività e salari. Josh Angrist, invece, ha usato dati Invalsi per studiare con Erich Battistin, professore in Maryland e all’Irvapp di Trento, e Daniela Viuri di Tor Vergata l’effetto della dimensione delle classi sulla performance scolastica nel Mezzogiorno e quanto di questo possa essere spiegato dalla manipolazione dei test da parte degli insegnanti.

Ma c’è una lezione più importante e generale: questo Nobel, insieme a quello del 2019 è soprattutto un premio ai dati e alla valutazione delle politiche pubbliche, parole che restano tra lo sconosciuto e l’abusato nel nostro paese. Tutte le leggi italiane vengono accompagnate da un’Analisi dell’impatto della regolazione (Air) per valutare l’impatto atteso delle opzioni di intervento considerate. Raramente, però, all’Air corrisponde un’analisi davvero sostanziale. Ancora più raramente ne segue una solida analisi ex post.

Un’eccezione istituzionale in materia è il programma VisitInps che apre ai ricercatori quella miniera d’oro che sono i dati del sistema previdenziale e sociale italiano. Con questi dati e con i metodi popolarizzati da Card, Angrist e Imbens, i ricercatori italiani (e non solo) possono studiare l’impatto di Quota 100, del Reddito di cittadinanza, del bonus 80 euro o delle riforme del lavoro, solo per fare degli esempi. Ma tutta la Pubblica amministrazione a ogni livello è piena di dati preziosissimi e inutilizzati. Inps, VenetoLavoro e Invalsi sono eccezioni. Che questo Nobel sia, quindi, la spinta per un “VisitMef”, un “Visit Ministero del Lavoro”, un “Visit Agenzia delle entrate” e chi più ne ha più ne metta. Ne guadagnerebbe il dibattito pubblico e la qualità della legislazione italiana.
 

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