il crac cinese

Perché Evergrande non è una nuova Lehman Brothers

Mariarosaria Marchesano

Dopo una chiusura in rosso, stamattina le Borse europee rimbalzano. Per buona parte delle banche d’affari inglesi e americane il rischio non è paragonabile a quello del 2008

Il rimbalzo delle Borse europee di stamattina (Piazza Affari è in forte ripresa, con l’indice Ftse Mib in rialzo di oltre l’1 per cento) dice che forse il crac del colosso immobiliare cinese Evegrande – gravato da 305 miliardi di dollari di debiti – non è così un pericolo per i mercati mondiali, anche se nuove scadenze di titoli della società previste tra oggi e giovedì mantengono alta la tensione sui listini asiatici. I veterani delle Borse assicurano che per capire le dimensioni del crac Evergrande e la sua capacità di contagio a livello globale bisognerà attendere l’apertura di Shangai domani, chiusa ieri e oggi per il “mid autumn festival”. Intanto, stanotte, Tokyo e Hong Kong sono andate abbastanza male ma il nervosismo degli investitori pare nasca più da una mancanza di chiarezza delle autorità di Pechino (Evergrande è troppo grande per fallire o no?) che dal timore che esista un rischio concreto di un nuovo caso Lehman Brothers.

 

La posizione di buona parte delle banche d’affari inglesi e americane – Barclays, Ubs, City, Jeffries – è di non credere che si possa ripetere lo stesso scenario del 2008, quando il governo federale decise di lasciare al suo destino Lehman innescando una delle più grandi crisi finanziarie della storia. Il motivo di questo parziale ottimismo è dovuto al fatto che dal punto di vista finanziario la capacità di penetrazione della Cina a livello globale è ancora abbastanza limitata, come dimostra il fatto, per esempio, che lo yuan rappresenta ancora il 2-3 per cento delle riserve valutarie mondiali.

 

D’altra parte, però, c’è chi teme che il momento attuale – in cui la prospettiva di un restringimento delle politiche monetarie delle banche centrali sta già facendo presagire una correzione dei corsi azionari – sia un terreno fertile per un’estensione a macchia d’olio della crisi Evergrande. “Quello che preoccupa di più è la possibilità di un contagio che potremmo chiamare di secondo livello – dice al Foglio Antonio Cesarano, global strategist di Intermonte – Il problema è che l’indice della volatilità dei mercati sta salendo molto e questo potrebbe innescare un effetto a catena: ci sono tanti fondi d’investimento che per statuto devono ridurre la loro esposizione per proteggere la clientela quando il rischio si fa troppo alto. Questo potrebbe innescare vendite a cascata con effetti che al momento non si possono calcolare”.

 

Secondo Cesarano, un tale scenario, però, non ha grandi probabilità di avverarsi perché alla fine il governo cinese, la cui politica della “prosperità comune” che punta ad abbassare i costi delle famiglie per casa e istruzione è la vera origine della crisi Evergrande, interverrà in qualche modo come ha fatto presagire il presidente della società real estate, Hiu Ka Yan, il quale ha detto: “Usciremo dal momento più buio della storia”. Intanto, la società non riuscirà ad adempiere alle proprie responsabilità verso gli investitori, i partner e le istituzioni finanziarie, a meno che il governo di Pechino non intervenga al suo posto.

 

Secondo Alessandro Tentori, economista e capo degli investimenti di Axa Im, “Il crac Evergande avrà effetti limitati al mercato domestico cinese e ai mercati asiatici, ma non ha le potenzialità per generare un crollo a livello globale”. Ma la decisione del governo cinese di lasciare annegare il colosso immobiliare nei suoi debiti non assomiglia a quella assunta 13 anni fa dal governo americano con Lehman? “Sono più d’accordo con chi evoca un altro grande caso della storia, quello di Long term capital management, un fondo speculativo americano, costituito da nomi eccellenti del mondo economico, che alla fine degli anni Novanta ebbe una grave crisi di liquidità che rischiò di contagiare Wall Street. Un intervento dell’allora presidente della Fed, Alan Greenspan, scongiurò il peggio. Ecco, credo che possa più accadere una cosa del genere. Il governo cinese ha deciso di sgonfiare la bolla immobiliare interna probabilmente perché sa che questo non costituisce un rischio sistemico. Diversi indicatori finanziari interni al paese ci dicono che il contagio è limitato”.

 

Diverso è il discorso per gli investitori esteri che hanno puntato su Evergrande e le sue obbligazioni (tra questi c’è il colosso Blackrock) trovandosi direttamente esposti in una situazione di collasso finanziario, che ricorda a tutti quanto la Cina sia inaffidabile per chi alloca capitali nel paese.

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