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oggi l'incontro al mise

Tutti gli errori sulla vertenza Whirlpool

Nunzia Penelope

Dopo tre anni e tre governi non c'è ancora una soluzione alla crisi dello stabilimento di Napoli. Il tavolo al Mise si aggiornerà il 23, l'azienda conferma i licenziamenti 

E' una storia paradossale quella della Whirlpool. Che causa dolore, ma anche e soprattutto rabbia. Per i numerosi errori, le sottovalutazioni, le sciatterie anche, che hanno concorso a questo tristissimo finale di partita: con i lavoratori napoletani infuriati, accampati sotto il ministero dello Sviluppo, con i sindacalisti che paventano il rischio che la vertenza diventi ''un fatto di ordine pubblico'', dopo averla cavalcata con forza per mesi e anni, con il governo - il terzo - alle prese con una multinazionale americana, un colosso del settore, che ostinatamente dice ''vado'' e con i sindacati che ostinatamente dicono ''resti''. 

 

E' una storia iniziata tre anni fa, o forse prima, occorrerebbe ricostruire tutto daccapo per decifrarla. Ma qualche tappa comunque significativa si puo' ripercorrere. Per esempio: era il 30 ottobre 2018 quando Luigi Di Maio, fresco ministro dello Sviluppo  nonchè del Lavoro nel governo gialloverde, affermava trionfante che ''Whirlpool non licenzierà nessuno, anzi, riporterà in Italia parte della sua produzione oggi in Polonia''. Crisi risolta in tempo record, spiegava Di Maio entusiasta sui social, andare a vedere per credere (era seguito l'annuncio altrettanto entusiasta dell'altrettanto miracolosa soluzione del caso Ilva, purtroppo altrettanto campato in aria).

 

Qualcosa evidentemente non va per il verso giusto. O forse Di Maio era stato molto ottimista, visto che appena sei mesi dopo, nella primavera 2019, Whirlpool comunica nuovamente a governo e sindacati che intende mollare lo stabilimento di Napoli e i suoi 420 dipendenti. 

 

Ed è il 19 ottobre 2019 quando il successore di Di Maio nel governo che stavolta è giallorosso, Stefano Patuanelli, sconsolato annuncia: "L'incontro con la Whirpool è andato male, nessuna apertura da parte dell'azienda: e siccome l'azienda continua ad avere un atteggiamento di scelte unilaterali, anche il governo farà le sue scelte unilaterali''. In altre parole: non sappiamo cosa fare. Non disse esattamente così, ma il senso era quello. Infatti non si fece assolutamente niente.

 

Seguono mesi di estenuante tira e molla, girandole di incontri tra sindacati, governo, azienda; ogni volta Whirlpool conferma la chiusura, ogni volta la risposta è ''non se ne parla''. Intanto la produzione è ferma, i dipendenti stanno in cassa, le manifestazioni si susseguono, si parla, si litiga, ci si impunta, si occupano binari, stazioni, autostrade. Non si fa la sola cosa che si dovrebbe fare, e cioè cercare una soluzione alternativa per il sito che la Whirpool si prepara ad abbandonare. Non si accetta la soluzione trovata dalla stessa multinazionale, rivelata nella lettera con cui il 15 luglio 2021 viene avviata formalmente la procedura di licenziamento per i 350 dipendenti: cessione alla PRS, "società leader nella termodinamica finalizzata alla conservazione e al trasporto intermodale di prodotti deperibili". Il sindacato respinge. Il governo non mette bocca.  L'azienda lascia cadere la proposta. 

 

Il 15 luglio 2021 è anche la chiamata dell'ultimo giro: con la comunicazione ai lavoratori, l'azienda infatti avvia la procedura che in 75 giorni porterà alle lettere di licenziamento vere e proprie. I sindacati parlano di fulmine a ciel sereno, insistono perché l'azienda accetti almeno di utilizzare le 13 settimane di cassa integrazione previste in questi casi, per dare il tempo di trovare una soluzione alternativa di redindustrializzazione; ma Whirlpool risponde grazie, no: dopo tre anni di "lungo addio" non ci tengono a restare incastrati nell'ennesimo giro di un valzer che rischia di non avere fine.

 

E si arriva a oggi. Altro giro, altro governo, il terzo a cercare di spicciare la matassa Whirlpool sempre più intricata. Stavolta c'è Draghi al posto di Conte, Giorgetti al posto di Di Maio e Patuanelli, ma i lavoratori di Napoli ancora accampati sotto il Mise, i sindacati che ancora dicono '"non molleremo mai, l'azienda non può chiudere". L'azienda intanto fa gli scatoloni e vuota i cassetti, preparandosi a smobilitare del tutto: "Il progetto di cessazione di attività dello stabilimento di Napoli è da intendersi finale e definitivo". Il 29 settembre scadono i fatidici 75 giorni e partiranno le lettere.

 


Il presidio dei lavoratori al ministero dello Sviluppo economico (Foto LaPresse)


 

Come andrà a finire - oggi, domani, tra un mese - è difficile dirlo. I sindacati, come già detto, prospettano problemi di ordine pubblico, e sicuramente il governo dovrà fare qualcosa per evitare che si finisca a botte in mezzo alla strada nel centro di Roma.

Si spera che avvenga una sorta di miracolo, un coniglio che esca dal cappello di qualcuno, un cavaliere bianco, un capitano coraggioso, chiunque sia in grado di prospettare una soluzione sensata. Soluzione che non è saltata fuori in tre anni, e chissà se Draghi - che i lavoratori della Whirlpool li aveva incontrato a Napoli, mesi fa, in occasione di un visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere (e all'epoca si era perfino favoleggiato di un suo intervento diretto) - sarà in grado di trovarla. Al momento il tavolo è rimandato al 23 settembre, quando al Mise si incontreranno l'azienda, Invitalia e sindacati. Per quella data Invitalia dovrebbe presentare un progetto per rilanciare il sito di Napoli con un consorzio impegnato sulla mobilità sostenibile, ma non se ne conoscono ancora i dettagli. Dal canto suo, l'azienda conferma i licenziamenti, esattamente come annunciato tre anni fa. La fine, si potrebbe dire, era nota.

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