Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

L'ora di riformare il fisco drogato da troppe agevolazioni

Mauro Marè

Serve un taglio generalizzato, perché tutti contribuiscano a un sistema più semplice e meno oneroso

Il cantiere della riforma fiscale è ormai definitivamente avviato. La relazione delle commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato delinea le principali questioni e i possibili contenuti della legge delega che dovrebbe essere promossa dal governo. Il sistema attuale necessita di un’ampia riforma. Tra gli aspetti più rilevanti c’è il potenziamento del profilo redistributivo dell’Irpef e la tassazione delle imprese; soprattutto, lo stimolo alla crescita e la semplificazione.

 

Il sistema di tassazione deve ostacolare il meno possibile la crescita economica, per cui va reso più semplice, certo e, se possibile, meno oneroso: il principale obiettivo perciò deve essere il potenziamento della crescita economica. Il sistema tributario non può farsi carico di un numero di obiettivi troppo elevato, che andranno perciò realizzati agendo sulla spesa e con il bilancio pubblico. Certo realizzare una riforma fiscale è un’opera complessa e difficile, richiede tempo e un capitale politico notevole e lavori preparatori robusti. La riforma fiscale in Italia è stata fatta in contesti diversi dall’attuale, con saldi di finanza pubblica più solidi e un capitale politico notevole. Per restare all’Irpef, troppe basi imponibili ne sono ormai tenute fuori, con tassazione cedolare – redditi autonomi fino a 65 mila euro, quelli agricoli, parte di quelli da fabbricati. La progressività del sistema tributario va valutata non solo rispetto all’Irpef ma anche alle altre imposte e alla spesa pubblica. Vista l’impossibilità di portare dentro certe forme di reddito, ci si deve accontentare di una progressività sostanzialmente limitata ai soli redditi da lavoro e da pensione? Che senso ha avere un’Irpef che, avendo perso il carattere di universalità, colpisce in modo molto progressivo solo alcuni tipi di reddito? Ha senso perseverare con una progressività aggressiva solo su alcune basi imponibili, quando altre basi (la ricchezza, i patrimoni) evitano sostanzialmente il prelievo progressivo?

 

Ma tornando alla crescita, si è finora ritenuto che un paese possa vivere di bonus, senza chiedersi chi li produce e li finanzia. Sicuramente, dopo l’epidemia, è stato necessario potenziare i sostegni e le agevolazioni – per i settori produttivi, la sanità, la caduta dei redditi. Però il requisito decisivo di qualsiasi riforma fiscale è partire dall’individuazione delle risorse necessarie per il finanziamento della stessa. La situazione della finanza pubblica italiana rende chiaro che qualsiasi riforma non possa essere effettuata in disavanzo, né aumentando il debito pubblico. Le perdite eventuali di gettito devono essere coperte con risorse certe.

 

Una delle ipotesi che da tempo sono diventate di moda è la revisione delle tax expenditure. L’Italia ha tra i paesi Ocse il numero più elevato di spese fiscali, che è aumentato vertiginosamente. Questo si è molto accresciuto negli ultimi 10 anni (ci sono adesso circa 1.000 voci); nell’ultimo anno sono aumentate di molto, circa 300 voci, e ci avviciniamo al 5-6 per cento del pil (circa il 10 per cento se consideriamo anche quelle strutturali). Questa situazione presenta un’evidente incoerenza con qualsiasi logica di qualsiasi sistema tributario.

 

Il punto cruciale è che la dimensione media delle spese fiscali è molto contenuta: una lista interminabile di voci, con piccoli incentivi monetari per individuo, di fatto senza effetti, è uno stupefacente che crea assuefazione, impossibile da eliminare e che produce un caos incontrollabile sul profilo distributivo dell’imposta. Quindi, non uno strumento per aumentare la progressività dell’imposta o realizzare altri obiettivi tributari, ma un escamotage per ricompensare i vari gruppi di interesse, che rischia di distruggere il sistema fiscale.

 

Una vera revisione delle spese fiscali non è ormai più rinviabile. Siamo convinti che, se corretta sul piano del metodo, la revisione voce per voce non sia possibile: la percezione deve essere che sia per tutti, altrimenti provocherebbe una reazione forte dei beneficiari delle varie microagevolazioni. Questo taglio va perciò realizzato tutto insieme, su tutti i tipi di benefici, al limite anche con misure orizzontali: si deve avere la convinzione che tutti siano chiamati a contribuire, rinunciando ad alcune piccole agevolazioni per avere un sistema tributario più semplice e meno oneroso.

 

In un lavoro recente con Francesco Porcelli (“The Political Economy of Tax Expenditures”, 2021) abbiamo messo in evidenza che il numero di spese fiscali (in un campione di paesi Ocse) è fortemente correlato con i legami familiari (family ties), un basso trust, un’elevata corruzione ed evasione, un basso livello di capitale sociale. L’analisi temporale evidenzia che le tax expenditure creano assuefazione, una volta introdotte non si riesce poi a eliminarle. La revisione delle spese fiscali potrebbe così permettere di individuare risorse per un primo modulo di riforma Irpef e una forte semplificazione. Bene ha fatto il ministro Daniele Franco a ribadire che si deve “avere una struttura di aliquote più bassa e un numero inferiore di eccezioni alle aliquote”.

 

Resta il fatto che i beneficiari delle spese fiscali protestano e votano: per cui l’eliminazione delle stesse deve avvenire “across the board” e il più possibile contestualmente alla revisione delle basi imponibili e delle aliquote Irpef. Quindi si dovrà trovare la soluzione operativa – tetti rispetto al reddito, limiti, per tipo o settore, ecc. – con cui ridurle. Senza una revisione profonda non è possibile nessuna riforma fiscale, né una semplificazione, né stimolare la crescita.

 

Mauro Marè
Presidente della commissione del Mef sulle tax expenditures

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