Luigi Marattin, presidente della Commissione Finanze della Camera (LaPresse) 

Riforma fiscale, luci e ombre

Sandro Brusco

Superamento dei bonus distorsivi, peggioramento della “flat tax” per gli autonomi, revisione delle tax expenditures. Dati i vincoli economici e politici, sarà una manutenzione più che una rivoluzione 

La commissione parlamentare sulla riforma fiscale ha prodotto un documento finale di sintesi che è molto interessante da vari punti di vista e merita di essere discusso approfonditamente. In termini propositivi ci sono alcune luci e parecchie ombre, ma la parte affascinante, almeno per uno studioso di economia, è il tentativo di bilanciamento politico contenuto nel documento. Questo tentativo illumina abbastanza bene da un lato qual è la cultura economica delle varie parti politiche e dall’altro quali gruppi sociali riescono a meglio influire sulle scelte pubbliche. Ma andiamo per ordine.

 

Chi ha seguito il dibattito fino a questo punto sa che i margini di manovra, fin dall’inizio, erano estremamente limitati. È utile ricordare una cosa che dovrebbe essere elementare, ma che nel panorama politico italiano evidentemente non è. I deficit di bilancio in risposta a emergenze o per promuovere investimenti pubblici produttivi possono solo essere temporanei, dato che nel lungo periodo il debito deve restare sostenibile. Una riforma fiscale strutturale porta invece ad aumenti o diminuzione permanenti delle entrate come percentuale del pil. Non può quindi essere finanziata in deficit. Una riduzione permanente delle entrate deve essere accompagnata da una riduzione permanente delle uscite. Data l’intoccabilità di quasi tutta la spesa pubblica corrente (quella per investimenti è un altro discorso) questo lascia ben poco spazio alla riduzione della pressione fiscale. Le cifre di cui si parla sono tra 1 e 3 miliardi annui. Stando larghi e ammettendo qualche sforamento, tra lo 0,1 e lo 0,3 per cento del pil. Nulla di decisivo e nemmeno di incisivo, francamente. Le cose buone che possono derivare dalla riforma fiscale sono nel campo della razionalizzazione e semplificazione, a pressione fiscale pressoché invariata.

 

Le tre ferite

Si fa spesso riferimento al fatto che una riforma fiscale organica manca da molto tempo e che le inevitabili modificazioni che avvengono nel tempo hanno compromesso la logica e la coerenza del sistema fiscale. La verità è che le ferite più gravi sono relativamente recenti. Le tre peggiori sono le seguenti. Primo, il “bonus 80 euro” e suoi derivati (ora è di 100 euro) che hanno prodotto profili psichedelici delle aliquote marginali effettive. Secondo, la “flat tax per gli autonomi” che, oltre a violare l’equità orizzontale, introduce potenti disincentivi alla crescita. Terzo, le varie deduzioni e detrazioni (ultimo il “Superbonus” al 110 per cento per gli immobili) che mascherano spesa pubblica, distorcono l’allocazione delle risorse e favoriscono principalmente i redditi medio-alti. Questi provvedimenti hanno un tratto comune: godono tutti di alto consenso, che è la ragione per cui sono sopravvissuti, dopo la loro introduzione, al succedersi di governi di vario colore. Detto in altri termini, sono un esempio da manuale di demagogia e degli enormi danni che essa può fare in un paese in cui gli anticorpi alle sciocchezze economiche sono praticamente inesistenti.

Un governo di unità nazionale come quello attuale dovrebbe essere ideale per permettere alle forze politiche, usando la scusa delle cause di forza maggiore e del governo tecnico, di fare un passo indietro rispetto alle ubriacature demagogiche sopra elencate. Nel documento si fanno passi concreti per superare gli errori soltanto per il primo punto, quello relativo alle aliquote marginali effettive. Sul secondo punto le cose addirittura peggiorano. E sul terzo punto non ci sono cambiamenti rilevanti. Quindi, come dicevamo, alcune luci e parecchie ombre.

 

Come cambiano le aliquote marginali effettive

L’aliquota marginale effettiva indica quanto il fisco preleva su un euro di guadagno addizionale. Ci sono due componenti: le aliquote statutarie (i famosi, 23 per cento, 27 per cento,  38 per cento etc.) e le aliquote implicite che derivano dalla diminuzione di detrazioni e altre agevolazioni all’aumentare del redditi. Questa seconda componente è estremamente importante per alcune fasce di reddito. A causa del rapido calo del “bonus 100 euro”, per esempio, un reddito di 35 mila euro subisce un’aliquota marginale effettiva superiore al 60 per cento! L’aliquota cala drasticamente a 40 mila euro, cifra a cui il bonus sparisce.

 

La cosa ovvia da fare per rimediare questo disastro, mantenendo invariata la pressione fiscale, è quella di eliminare il bonus e trasformarlo in detrazione per i redditi da lavoro dipendente. La buona notizia è che questo sembra essere l’orientamento espresso nel documento. Esso richiede un “deciso intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, incluso l’assorbimento degli interventi del 2014 e del 2020 riguardanti il lavoro dipendente”. L’intervento del 2014 è il “bonus Renzi”, quello del 2020 la riformulazione del governo Conte II (che di sciocchezze non se ne è fatta scappare una). Il modo pudico in cui gli interventi sono richiamati segnala la delicatezza politica dell’intervento, ma lascia ben sperare che questa assurdità venga superata. Aspettiamo e vediamo.

 

L’altro intervento principale è la proposta di riduzione dell’aliquota marginale del 38 per cento che si applica ai redditi tra 28  e 55 mila euro. Probabilmente la riduzione sarà molto limitata, dato che le risorse a disposizione sono poche. Su questo vale la pena fare un’osservazione. Il documento ribadisce con forza che l’obiettivo della riforma dovrebbe essere lo stimolo alla crescita economica e alla partecipazione alla forza lavoro. Questa riduzione di aliquota andrà in parte ai redditi da pensione di livello medio e medio-alto, senza stimolare la crescita economica né redistribuire a favore delle fasce svantaggiate. Sarebbe molto meglio intervenire su altre componenti, come l’irrobustimento delle detrazioni da lavoro dipendente e autonomo. Ma i voti dei pensionati fanno gola a tutti. L’ultimo punto che merita menzione è l’intenzione di favorire la partecipazione femminile alla forza lavoro contrastando i disincentivi generati dalla detrazione per coniuge a carico. Il linguaggio è un po’ contorto: “Si propone di considerare l’introduzione di una tassazione agevolata per un periodo predefinito in caso di ingresso al lavoro del secondo percettore di reddito”. Sarebbe molto più semplice trasformare la detrazione per coniuge a carico in detrazione non-condizionale, ma è probabilmente misura troppo costosa date le risorse a disposizione. Infine, c’è una proposta di cui devo confessare di non aver capito la ratio: aumentare il minimo esente per i contribuenti inferiori a 35 anni. Sembra una di queste cose “facciamo qualcosa per i giovani”. Boh.

 

Come cambia la “flat tax per gli autonomi”

Questa misura è stata uno dei peggiori interventi del governo gialloverde ed è stata confermata dal governo giallorosso. È una misura contro la crescita (oltre che contro l’equità) per due ragioni. Primo, istituisce una ‘trappola della povertà’ a 65 mila euro, forzando i lavoratori autonomi a restare al di sotto per evitare il cambio di regime fiscale. Secondo, disincentiva l’uso di capitale perché la sua remunerazione potrebbe portare a un superamento della soglia. In altre parole, è una misura che sfavorisce sia la crescita dimensionale sia l’aumento della produttività mediante investimenti in capitale. Il documento riconosce esplicitamente questo fatto: “L’attuale assetto del regime forfettario finisce con l’inibire la crescita dimensionale delle piccole imprese, il che contrasta con l’obiettivo fondamentale della riforma, vale a dire la promozione della crescita economica”. 
È anche una misura con molto consenso e sulla quale la Lega era chiaramente disposta a dare dura battaglia. Ha vinto la Lega e ha perso il buonsenso. La flat tax per gli autonomi resta e viene estesa. Per cercare di ovviare alla “trappola della povertà” si prevede un complicato meccanismo di estensione nel caso il reddito superi temporaneamente i 65 mila euro, introducendo un regime opzionale per continuare il regime forfettario nei due periodi di imposta successivi, a condizione che in ciascuno di detti periodi di imposta si dichiari un volume d’affari superiore del  10 per cento rispetto a quello di ciascun anno precedente. Chiaramente un compromesso, ma un brutto compromesso che lascia immutati i danni prodotti da questa misura. Un’occasione persa. 


Come cambiano le tax expenditures

Con questo termine si indicano le deduzioni e detrazione che permettono a chi sostiene certe spese di ridurre le imposte pagate. Sono misure più regressive dei sussidi diretti, dato che molto spesso solo chi ha redditi sufficientemente alti, e quindi paga imposte relativamente alta, può usufruirne. È ovvio, per esempio, che un incapiente non può detrarre le spese sanitarie che sostiene, mentre chi paga imposta positiva ha questa possibilità; sussidi diretti alle spese sanitarie eviterebbero la distorsione a favore di redditi medio alti. È anche un’area in cui si scatena la fantasia dei politici, in cerca di gruppi da favorire con esenzioni ad hoc. Questo ha portato a enormi complicazioni e disparità di trattamento. L’ultimo episodio di questa lunghissima saga sono i Superbonus per l’edilizia. Ma ci sono anche tante cose minori: palestre, spese veterinarie etc. La commissione propone “l’eliminazione di quelle spese fiscali il cui beneficio pro-capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore a una soglia appositamente determinata”. In altre parole, non verranno toccate le cose grosse. Probabilmente inevitabile, sarebbe stato troppo costoso politicamente. Speriamo che almeno alcune delle cose piccole vengano eliminate, ma sarà un intervento di razionalizzazione senza particolari effetti sul gettito.


Il documento contiene una serie di altre proposte di razionalizzazione del sistema fiscale che porteranno benefici. Si propone il superamento dell’Irap, un’imposta che ha cambiato volto nel corso del tempo, si semplifica il trattamento delle rendite finanziarie (pur mantenendo, purtroppo, il regime di favore verso i titoli di stato), si migliora la disciplina delle addizionali locali etc. Buona manutenzione, che sconta in vari punti il fatto di essere soggetta agli usuali vincoli politici. La prossima tappa è ora la legge delega che il Parlamento approverà entro luglio. Vedremo cosa sarà recepito e cosa no. Poi toccherà al governo

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