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La tassa di Letta è sbagliata, ma le imposte espropriative partono già dai 28 mila euro

Enrico Zanetti

Al di là degli errori di comunicazione del segretario del Pd un ridisegno del sistema fiscale che prevedesse un riequilibrio tra la tassazione dei redditi di lavoro dipendente e autonomo delle persone fisiche e la tassazione di altri presupposti imponibili, ivi compresi i patrimoni, meriterebbe ben altra accoglienza

L’Italia è quello strano paese in cui milioni di persone convivono con serena rassegnazione con una tassazione sui redditi espropriativa che scatta già al 38 per cento (40-41 per cento con le addizionali) per ogni euro di reddito superiore a 28.000 euro, ma ci si indigna, come fosse un affronto personale, di fronte all’ipotesi di aumentare la tassazione sui patrimoni superiori a 5 milioni di euro. Intendiamoci: la proposta di aggiungere tassazione patrimoniale al quadro esistente per finanziare altri interventi di spesa, è totalmente irricevibile, ma qualunque ridisegno del sistema fiscale che prevedesse un riequilibrio tra la tassazione dei redditi di lavoro dipendente e autonomo delle persone fisiche (alla quale dobbiamo aggiungere anche l’onerosissimo prelievo contributivo) e la tassazione di altri presupposti imponibili, ivi compresi i patrimoni, meriterebbe ben altra accoglienza. Così come è risibile pensare di incidere in modo concreto sugli equilibri dei circa 750 miliardi di euro di entrate tributarie prelevate ai cittadini (scese del 6,9 per cento, a 700 miliardi, nell’anno “Covid” 2020), soltanto con modifiche, ad alto impatto ideologico, ma a basso impatto di gettito, su una imposta sulle successioni e donazioni che cuba gettito per circa 800 milioni (sceso del 50,4 per cento, a meno di 400 milioni, nell’anno “Covid” 2020: un bel mistero, tra l’altro) e che, anche ove fosse quadruplicata, continuerebbe a pesare meno del 4 per cento delle entrate tributarie totali. Tutt’altra cosa sarebbe se il ridisegno dell’imposta sulle successioni e donazioni (che in Italia, oltre a prevedere sacrosante esenzioni integrali con riguardo ai patrimoni aziendali, volte a favorirne il passaggio generazionale, è oggettivamente molto contenuta anche sugli altri patrimoni) si inserisse in un più ampio contesto di ridisegno del prelievo, per spostarne il baricentro dal momento della produzione del reddito, al momento del suo impiego in consumo e del suo accumulo in patrimonio, per la parte che eccede una soglia di fisiologico risparmio.

 

L’attuale sistema penalizza in modo spaventoso chi non ha già accumulato un patrimonio e tutela in modo indiscriminato chi invece ne ha già uno: non è un sistema che guarda alla crescita, al merito, all’impegno; è un sistema che guarda al passato e valorizza la buona vecchia regola del “chi c’è, c’è”. Soluzioni tecniche per cambiare schema di gioco ce ne sono, senza penalizzare, nel passaggio dal vecchio al nuovo, chi ha ingenti patrimoni che corrispondono però a una storia reddituale da cui si evince che sono stati formati negli anni con la parte non spesa di redditi da lavoro che hanno subito quella stessa espropriativa pressione fiscale che, cambiando le regole del gioco, si va a cambiare per il futuro.

Serve però l’intelligenza della politica di valutarle, senza arroccarsi nella contrapposizione tra chi promette consistenti riduzioni miracolose delle imposte sui redditi di lavoro, senza contropartite almeno parziali su altri versanti; e chi sbandiera l’incremento della tassazione patrimoniale semplicemente per aggiungere altro prelievo al quadro esistente. Serve altresì la consapevolezza del ceto medio di under 60, con redditi di lavoro sopra la media, ma patrimoni tutt’altro che plurimilionari, che chiunque alimenta questa contrapposizione, da entrambe le parti, contribuisce a tenerlo ostaggio di un sistema che, tutelando chi non ha nulla o chi ha già molto e bastonando chi lavora, pare fatto apposta per distruggerlo.

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