Il premier Mario Draghi e il ministro dell'Economia Daniele Franco (Ansa)

L'intervento

Contro il debito

Paolo Cirino Pomicino

Un macigno sul futuro del paese. Come ottenere risorse fresche per la crescita
 

Finalmente qualche voce autorevole ha riportato all’attenzione pubblica il nodo del debito pubblico in un tempo in cui tutti sembrano gridare goliardicamente “al debito, al debito”. Al termine del Festival dell’economia di Trento, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno ricordato che ad oggi il nostro debito pubblico è giunto a circa 2.600 miliardi di euro con un rapporto debito/pil a 160. E non abbiamo ancora contabilizzato il debito che faremo per il Recovery fund (altri 110 miliardi circa). Durante i lavori del Festival di Trento nessuno ha ricordato questo macigno che pesa sul futuro dell’Italia nonostante si siano avvicendati nella discussione autorità nazionali ed europee, politiche e finanziarie. Mario Draghi ha ragione quando ricorda che oggi si deve far debito “buono” per gli investimenti e la crescita ma “est modus in rebus” ci insegnavano i romani. Insomma debito sì, ma per quanto necessario e per quanto sostenibile. E qui qualche considerazione va fatta. 

 

Da oltre un anno spieghiamo che un paese come il nostro senza toccare la pressione fiscale potrebbe raccogliere diverse decine di miliardi di risorse fresche mettendole al servizio della crescita e delle riforme necessarie. E per dare un solo esempio ricordammo che le casse previdenziali e i fondi pensioni avrebbero potuto, e potrebbero ancora, acquistare immobili pubblici utilizzati dalla Pubblica amministrazione per 60/70 miliardi, visto che hanno 200 miliardi di euro investiti e ogni anno investono circa 20 miliardi. Si tratterebbe di una piccola riduzione del patrimonio pubblico consegnato peraltro nelle mani di investitori istituzionali. Questa e altre idee che pure rappresentammo furono criticate dai responsabili del secondo governo Conte senza peraltro che fossero offerte alternative se non facendo ulteriori debiti. 

 

Spagna e Portogallo, ad esempio, stanno ragionando in maniera diversa e cioè pensano di prendere dal Recovery fund solo i soldi a fondo perduto e non i prestiti, con uno strano disappunto della Commissione europea. Nella tragedia quei paesi si stanno ponendo il problema di garantire la propria sovranità il giorno in cui la pandemia avrà smesso i suoi effetti devastanti mentre noi, che abbiamo un debito di gran lunga più alto, rimuoviamo questo problema. È vero che 500 miliardi circa del nostro debito sono nelle mani della Banca centrale europea che può tenerli per 50 anni e più visto che, reinvestendoli sempre nel nostro debito pubblico, avranno rendimenti che gireranno alla Banca d’Italia che a sua volta li restituirà al nostro paese sotto forma di dividendi.

 

È altrettanto vero, però, che resterà un debito pubblico pari a quello che era prima della pandemia congelando così una spesa per interessi che oggi è ai minimi termini ma che nello spazio di qualche anno comincerà a risalire. Sappiamo tutti che un po’ di inflazione aiuterà a erodere in termini reali lo stock del debito così come una crescita nominale al di sopra del tasso di interesse farà altrettanto, ma perché non possiamo contenere il nostro debito essendo un paese ricco di risorse e di risparmio per consentire poi una crescita stabile e virtuosa? Draghi e Franco hanno la competenza e l’autorevolezza per spiegarci perché sbagliamo e per garantirci che fra 3/4 anni non saremo sotto la dittatura dei mercati finanziari

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