Uno studio di Berkeley dice che lockdown e salvataggio dell'economia non sono strategie incompatibili
“Soppressione forte”. Secondo i ricercatori i costi di una chiusura lunga sono più bassi di quelli di eventuali riaperture premature
Milano. L’Università di Berkeley ha pubblicato uno studio dal titolo “L’efficienza del contenimento e le strategie di controllo dei costi della pandemia da Covid” che fornisce informazioni utili ai governi che cercano un equilibrio tra il lockdown e l’impatto disastroso dei lockdown sulle economie. La cura non può essere peggiore del virus, dicono molti, i tempi dell’isolamento sono lunghi ma la tolleranza delle economie è breve, e il rischio è duplice: indugiare troppo prima di ripartire o andare di fretta vanificando lo sforzo dell’isolamento.
Gli studiosi della Berkeley analizzano – attraverso un modello matematico molto articolato – due scenari: il “controllo di breve periodo” dell’epidemia che cerca di mantenere il tasso di trasmissione del virus all’interno di certi limiti, e il “controllo di lungo periodo”, che cerca di contenere il numero totale di contagiati, portando il tasso di trasmissione a livelli molto bassi. Queste due strategie sono collegate a concetti già noti, quelli del “contenimento” del virus e quelli della “soppressione” che furono introdotti dall’Imperial College di Londra e portarono il governo inglese (e poi altri) a cambiare la propria impostazione di lotta al Covid e dirigersi “in modo drastico” verso il lockdown: il costo umano del contenimento risultava insostenibile (la misura di riferimento è l’indice R0).
Il paper di Berkeley analizza quattro tipi di costi: il costo delle vite perse, il costo del lavoro perduto a causa della malattia, i costi medici associati all’alta incidenza del virus, il costo economico dell’isolamento, che sia imposto o che sia volontario. L’incrocio di queste variabili produce grafici e formule matematiche parecchio complessi, ma la conclusione è chiara: l’opzione meno costosa è la “soppressione forte”, cioè eliminare il virus (l’R0 vicinissimo allo zero). In questo modo si salvano vite umane, si riducono i costi sanitari e si ammortizzano i costi economici dell’isolamento nel tempo. “Un risultato non di poco conto del nostro modello – scrivono gli studiosi di Berkeley – è che una strategia di ‘soppressione forte’ porta ad abbassare i costi totali quando lo sforzo di isolamento non viene ammorbidito di fronte a un calo dei tassi di trasmissione. L’approccio di ‘controllo a breve termine’ che allenta le misure restrittive quando calano i nuovi casi di contagiati porta con ogni probabilità a un periodo epidemico più lungo”, con un innalzamento dei costi totali.
Per ridurre il periodo pandemico, che finisce soltanto quando viene scoperto e soprattutto viene diffuso un vaccino (a proposito: il vaccino dello Jenner Institute e dell’Oxford Vaccine Group somministrato a sei macachi in un laboratorio del Montana ha dato il primo risultato positivo), le indicazioni sono sempre le stesse: tracciare il virus e separare malati e vulnerabili dal resto della popolazione. Gli studiosi di Berkeley aggiungono in conclusione: c’è poca chiarezza sul raggiungimento del cosiddetto “punto di immunità di gregge” fissato quando il 66 per cento di una popolazione è stata contagiata. “Oltre il punto di immunità di gregge – scrivono gli studiosi – il conteggio dei contagiati resta elevato per un periodo di tempo considerevole. L’ondata si ferma del tutto soltanto quando il 94 per cento della popolazione è stata infettata. L’idea che l’epidemia sia essenzialmente superata una volta che è raggiunto il punto di immunità è errata”.
Martin Wolf, editorialista del Financial Times, ha ripreso questo studio e ne ha fatto una sintesi politicamente rilevante: mantenere il lockdown e salvare l’economia sono strategie compatibili, non siamo di fronte a un trade-off. “Persistere con le misure restrittive – scrive Wolf – fino a che il contagio è portato a livelli molto bassi comporta oggi costi enormi. Ma deve essere visto anche come un investimento, e l’extra tempo oggi può essere utilizzato per costruire i sistemi necessari per sopprimere il virus”. L’insofferenza rispetto ai lockdown, insomma, non è nulla rispetto a quello che potrebbe accadere se si ripartisse in modo prematuro, “nel lungo periodo, la cosa giusta da fare è anche quella politicamente meno impopolare”, scrive Wolf: si può trovare una strategia che salvi le persone e l’economia.
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