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Così la politica di Donald Trump sta fermando la globalizzazione

Mariarosaria Marchesano

Catene produttive per 22 miliardi di dollari si spostano dalla Cina verso sud-est asiatico, India e nord America. Ricerca di BofA

Milano. Nonostante l’accordo commerciale di “Fase uno”, gli obiettivi strategici di Stati Uniti e Cina restano inconciliabili e questo sta diventando l’acceleratore chiave di un processo di de-globalizzazione, i cui primi segnali risalgono al 2008, ai tempi della grande crisi finanziaria. La conseguenza è che nel mondo stanno cominciando a spostarsi catene di approvvigionamento per un valore complessivo stimato da Bank of America (ex Merrill Lynch) in 22 miliardi di dollari circa. In un’ampia ricerca della banca d’affari americana, che contiene anche un sondaggio che ha rilevato le decisioni di investimento di 3000 aziende nel mondo, per la prima volta viene ipotizzata la nuova traiettoria della “supply chain” che si sta gradualmente spostando dalla Cina verso il sud est asiatico e l’India e talvolta prende la via del “ritorno” verso il nord America. L’attuale assetto geografico delle catene produttive, che si è formato negli ultimi trent’anni con lo spostamento di impianti e posti di lavoro dai paesi occidentali ai paesi emergenti, si sta, dunque, modificando e questo è anche un effetto della politica estera del presidente americano Donald Trump. In pratica, sostiene in sintesi Bofa, è come se la comunità imprenditoriale avesse compreso che tra America e Cina si è generata una spaccatura e ha iniziato a riposizionare i suoi mezzi di produzione, a prescindere dal fatto che i dazi vengano rimossi o meno.

 

A questo processo migratorio contribuiscono anche la crescente automazione, che ha ridotto significativamente il differenziale del costo del lavoro tra i paesi, la minor convenienza fiscale a delocalizzare. Nel complesso, è in atto, secondo Bofa, una transizione verso legami economici locali e regionali più forti, dopotrent’anni di crescita economica alimentata dai benefici della globalizzazione: un flusso libero incontrollato e transfrontaliero di beni, persone e capitali che ha premiato la manodopera a basso costo e i bassi prezzi al consumo. Ora il trend sta conoscendo un’inversione. Gli economisti della banca americana prevedono “una lunga pausa nella globalizzazione” e, in rottura con il passato, sostengono che il mondo “è entrato in una fase senza precedenti durante la quale le catene di approvvigionamento vengono portate a casa, avvicinate ai consumatori o reindirizzate ad alleati strategici”. Ma non è detto che sia un male perché questo cambio di paradigma può creare “una miriade di opportunità per le aree geografiche verso le quali viene reindirizzata la produzione”.

 

Le aziende interpellate si dividono sostanzialmente in due categorie, quelle che hanno una strategia “China plus”, in cui vengono ampiamente mantenute le catene esistenti, e quelle che seguono programmi pilota per sperimentare luoghi alternativi. “Gli Stati Uniti potrebbero essere un beneficiario significativo di questo processo, mentre le imprese cinesi sono forse maggiormente a rischio”. Non sorprende scoprire che il sud est asiatico, in modo particolare, e l’India siano le destinazioni pianificate da metà delle aziende in movimento, mentre è sorprendente che si registri un flusso di ritorno verso il Nord America (“reshore”), dove si registrano 400 mila posti di lavoro vacanti soprattutto nelle industrie ad alta tecnologia per i quali l’energia è un fattore chiave. “Le crescenti preoccupazioni per il riscaldamento globale stanno creando una spinta per ridurre il peso del carbonio e produrre cose più vicine ai clienti. Le preoccupazioni per lo spionaggio industriale stanno motivando le aziende a ripristinare il controllo della loro tecnologia e la ridotta disponibilità di finanziamenti commerciali incoraggia anche la localizzazione”. Secondo Bofa, infine, sarebbe un errore pensare che la politica “America First” miri esclusivamente a ridimensionare il peso della Cina perché potrebbe coinvolgere anche altri paesi, come si vede dalle minacce sulle tariffe per auto e ricambi. L'Europa è avvertita.

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