Ursula von der Leyen (foto LaPresse)

Il Green Deal europeo può davvero rilanciare la crescita, ma serve una spinta

Mariarosaria Marchesano

Un percorso lungo e incerto attende il rivoluzionario piano verde presentato da Ursula von der Leyen

Roma. In Puglia gli alberi di pero sono già in fiore e in tutt’Italia gli agricoltori raccolgono broccoli, cavoli, sedano, prezzemolo, finocchi, cicorie, bietole, tutti maturati contemporaneamente per le temperature primaverili. La Coldiretti – sulla base dei dati forniti dal Consiglio nazionale delle ricerche – ci dice che quello appena trascorso è stato il Natale “bollente” del quarto anno più caldo degli ultimi due secoli. E nella pianura torinese la notte tra il 24 e il 25 dicembre è stata la più calda degli ultimi 150 anni, secondo l’Osservatorio Moncalieri della società meteorologia italiana.

 

Queste (immancabili) rilevazioni (di analoghe ce ne sono state anche nel 2003 e ogni anno partire dal 2015) hanno sempre ottenuto l’effetto di alimentare l’allarme sui cambiamenti climatici senza, però, suscitare altre reazioni se non la frustrazione comune, visto che nessuno ha la bacchetta magica per cambiare le cose. Il merito della neocommissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, che a pochi giorni dalle festività ha presentato il Green New Deal, è anche quello di essere riuscita in qualche modo a cambiare la percezione di queste notizie: una notte di Natale calda non è la fine del mondo, ma un buon motivo per modificare il paradigma della crescita economica dell’Europa, che mai come in questa fase ha bisogno di un’ondata di investimenti pubblici e di attirare capitali privati internazionali facendoli confluire su un obiettivo di lungo termine. Così il dibattito pubblico sulla salvaguardia del pianeta si è finalmente spostato su un piano concreto, quello dei progetti, dei finanziamenti e delle nuove imprese e posti di lavoro che possono nascere se davvero si vuole provare a ‘decarbonizzare’ l’Europa. Ciò che manca per rendere credibile questa prospettiva è però una strategia verde condivisa tra le istituzioni e tra gli stati membri dell’Unione. L’impressione è che il percorso sia lungo e incerto. A farlo rilevare sono alcuni grandi investitori internazionali, che sembrano scettici sul Green New Deal, pur riconoscendo che ha in sé le potenzialità per ridare slancio alla crescita europea. “Il piano presentato della Commissione va nella giusta direzione, ma facciamo fatica a comprendere quanta parte dei 260 miliardi di investimenti all’anno stimati sono addizionali rispetto a quelli già in corso sull’ambiente”, dice al Foglio Bruno Rovelli, responsabile per l’Italia di Blackrock, durante la presentazione a Milano dell’outlook per il 2020. Per Rovelli, il modo in cui verrà attuato il programma verde sarà “il tema più caldo del prossimo anno” perché avrà riflessi sulla definizione del budget europeo per il periodo 2021-2027 in cui verrà a mancare il contributo del Regno Unito per via della Brexit (circa 10-12 miliardi). Sono pronti gli stati dell’Ue a fare un doppio sforzo aggiuntivo?

 

In teoria, all’obiettivo di neutralità climatica per il 2020 dovrebbe essere destinato il 25 per cento del prossimo bilancio Ue e il 30 per cento del programma Invest Eu. E concordare sull’entità dei finanziamenti pubblici è fondamentale per attrarre quelli privati. “Per gli stati membri dell’Unione lo scoglio più grosso sarà trovare una politica fiscale comune, perché questo implica la rinuncia a pezzi di sovranità”, dice Rovelli. Così, lo scetticismo di un grande investitore, che, tra l’altro, ha una forte vocazione green, fa riflettere su quanto sia senza precedenti lo sforzo politico e finanziario richiesto dalla Von der Leyen. Un’analisi della banca d’affari svizzera Ubs fa notare come il Green Deal sia stato spiegato finora solo in termini basilari (il che, però, è anche abbastanza normale, visto che la stessa Commissione ha promesso di presentare dettagli sui finanziamenti a inizio 2020) e che nel breve periodo potrà produrre solo una crescita debole dell’Unione europea. Quello che non è chiaro è il ruolo che nel Green Deal svolgeranno i vari soggetti in campo. Mentre la Banca europea degli investimenti ha fatto una scelta precisa quando ha annunciato che non investirà più sulle fonti fossili a partire dal 2021 – e per questo è riuscita già a lanciare i primi fondi d’investimento green in partnership con alcuni operatori privati – ancora da definire è la direzione che prenderà la Bce, il Consiglio europeo e anche il Parlamento di Strasburgo. La parola d’ordine del 2020 sarà “tassonomia”. La Commissione Ue ha invitato tutte le istituzioni ad adottare i criteri per classificare le attività ambientalmente sostenibili. In questo modo saranno individuate le iniziative green e quindi meritevoli di investimenti. Alcuni analisti arrivano a ipotizzare che la Bce potrebbe trasformare progressivamente il programma di acquisti di titoli – il Quantitative easing – in un “green Qe”. Ma si tratta, appunto, di ipotesi che andranno chiarite per convincere i privati a partecipare.