Matteo Salvini (foto LaPresse)

Mimesi tax

Maurizio Stefanini

Consigli sullo choc di Salvini dal think tank di Norquist che ha consigliato la riforma fiscale di Trump

Roma. Uno degli appuntamenti più importanti della visita di Salvini a Washington è stato l’incontro con Grover Norquist, la cui Americans for Tax Reform (Atr) è stata l’ispiratrice della riforma fiscale di Trump.

 

 

Il Foglio ne ha parlato con Lorenzo Montanari, reggiano, classe 1974, che è il direttore dei Programmi e Affari internazionali della Atr. Come spiega, “il fatto che Salvini abbia voluto incontrare un think tank/gruppo di pressione americano, come l’Atr, evidenzia una sensibilità particolare nel riconoscere il ruolo chiave giocato dai think tanks americani nella formulazione delle politiche pubbliche. L’incontro, avvenuto presso quella Villa Firenze che è la residenza dell’Ambasciatore Italiano, si è centrato principalmente sul ruolo storico giocato dall’Atr: a partire dalla grande riforma delle tasse di Reagan del 1981 e 1986, fino all’ultima del 2017 di Trump. In particolare, ci siamo soffermati sul taglio radicale della corporate tax Americana dal 35 per cento al 21 per cento e degli risultati straordinari sulla economia statunitense, per esempio l’aumento del salario nominale del 3,5 per cento; del 3,8 per cento della disoccupazione e di una crescita economica del 3,1 per cento con picchi fino al 4,1 per cento Per non parlare della seconda grande rivoluzione ovvero il passaggio dal sistema di tassazione globale a territoriale. Ovvero oggi una impresa americana che vuole investire in un paese europeo pagherà solo la corporate tax del paese ospitante e non più la differenza con la corporate tax americana. Questo cambio ha permesso il rientro solo 2018 del 25 per cento dei 3.3 trilioni di dollari depositati all’estero”.

 

Ma qual è il modello americano che Salvini vorrebbe portare in Italia? “C’è un grandissimo interesse ad approfondire la riforma americana per capire come poter tagliare una tassa sulle imprese italiane oggi sul 28 per cento, e ovviamente il ministro Salvini ha parlato del tipo di flat tax che vorrebbe introdurre in Italia. Salvini si è poi dimostrato fortemente interessato ed incuriosito da uno degli strumenti chiave con cui l’Atr è riuscita a cambiare la politica economica del partito repubblicano, ovvero il taxpayer pledge. Un patto sulle tasse che l’Atr sottopone a tutti i candidati, e i cui i candidati giurano che non voteranno mai per nessuna legge che implichi l’aumento delle tasse. A oggi il 90 per cento dei repubblicani ha firmato il patto. Salvini penserebbe a come proporre questo tipo di patto anche in Italia”.

 

Però Norquist continua ad avere delle differenze con Trump, al quale Salvini dice di ispirarsi dopo la recente visita a Washington, a proposito delle guerre commerciali combattute con l’aumento dei dazi all’importazione. “Da conservatori e liberali ovviamente non possiamo non essere contro la politica delle tariffe doganali. Capisco perfettamente che sono un strumento di negoziazione ma non certo una politica di libero mercato. Trump chiede, attraverso le tariffe doganali, più giustizia per le imprese americane il più delle volte penalizzate. Tra pochi mesi l’Atr lancerà a livello mondiale un nuovo Indice (il Trade Barrier Index) proprio per misurare i paesi con maggiori tariffe doganali. Tutti parlano delle tariffe di Trump come di un’ingiustizia, ma pochi ricordano il fallito tentativo dell’Unione Europea, fortemente appoggiato dalla Francia di Emmanuel Macron, dall’Italia di Paolo Gentiloni ma anche da governi di centro destra come quello di Theresa May, di imporre una Digital Tax Service che colpendo le entrate e non i profitti avrebbe contraddetto tutti i principi basici della tassazione, e oltretutto era chiaramente anti americana”.

 

Come vede la Atr quel che sta accadendo in Italia? “Con grandissimo interesse ma anche con distaccato realismo. L’Italia ha bisogno di un grande choc fiscale per riprendersi dal torpore economico e dall’alto tasso di disoccupazione, e l’idea di una flat tax al 15 per cento per famiglie e imprese secondo noi va nel senso giusto. Deve però essere accompagnata da una grande riforma della macchina statale, della giustizia, e del mercato del lavoro, per alleggerire la presenza dello stato nell’economia e tagliare la spesa pubblica. E’ il mercato a creare posti di lavoro: non lo stato o i sindacati”.