Giovanni Tria (foto LaPresse)

Il premier lo nega, ma il governo ha detto sì ai minibot

Luciano Capone

Conte: “Non sapevo nulla”. Il governo però aveva dato l’ok. Allora Fraccaro indica Tria, ma il Mef nega. Mistero

Roma. Dopo giorni di discussione intensa sui minibot, che hanno coinvolto la stampa nazionale e internazionale, inquietato gli investitori, allarmato gli osservatori internazionali, richiesto smentite del Tesoro e precisazioni del presidente della Bce Mario Draghi, ancora non si riesce a capire quale sia la posizione del governo. Dice che non ne sapeva nulla, ma ha espresso un parere. Pare contrario, ma anche a favore. Perché il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione è un’emergenza, ma già risolta (o quasi). Quindi il premier Conte e il ministro Tria dicono che non ce n’è bisogno, mentre i vicepremier Di Maio e Salvini spingono per introdurli.

 

Ciò che è ancor più grave è che, su un argomento così delicato da aver prodotto una tempesta mediatica con possibili ricadute finanziarie, ancora non si comprende chi abbia espresso il parere favorevole del governo su quella mozione che impegna l’esecutivo a introdurre i “titoli di stato di piccolo taglio”, i cosiddetti “minibot”. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto ieri al Corriere che “è una proposta mai portata a Palazzo Chigi. E siccome ha implicazioni di sistema, mi aspettavo che correttamente mi fosse portata per esaminarne insieme aspetti e contenuti”. Questo vorrebbe dire che il parere del governo è stato espresso all’insaputa di Palazzo Chigi. Da chi? Materialmente, secondo il resoconto d’Aula, dal sottosegretario per le Politiche agricole Alessandra Pesce del M5s. Ma non essendo tema di sua competenza, ha ricevuto indicazione da qualcun altro. Chi? “Il parere è stato dato su indicazione del Mef”, dicono al Foglio dal ministero per i Rapporti con il Parlamento. Ma dal Mef negano categoricamente di essere stati coinvolti.

 

In effetti il ministero competente su una mozione che riguardava i pagamenti dei debiti commerciali della Pubblica amministrazione è proprio quello dell’Economia, ma in Via XX Settembre non ne sapevano nulla: “Non risulta alcuna richiesta su quella mozione”. Secondo la prassi l’ufficio legislativo avrebbe dovuto rivolgersi alle direzioni o ai dipartimenti interessati – che in questo caso sono la Ragioneria dello stato o la direzione Debito pubblico – che però non sono state coinvolte. Non hanno ricevuto alcuna richiesta. Anzi, il Mef era completamente all’oscuro della mozione sui minibot e il suo voto all’unanimità ha creato non poco allarme per le possibili ripercussioni sui mercati e sullo spread. Non a caso il 31 maggio, ovvero due giorni dopo il voto della mozione e il giorno successivo alla diffusione della sua approvazione, il Mef ha bocciato in maniera perentoria l’ipotesi minibot: “Non c’è nessuna necessità né sono allo studio misure di finanziamento di alcun tipo, tanto meno emissioni di titoli di stato di piccolo taglio, per far fronte a presunti ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni italiane”, ridimensionando anche l’entità del problema: “I tempi di pagamento della Pa sono in costante miglioramento”. A distanza di giorni, dal Mef ribadiscono che quel parere favorevole ai minibot non arriva da Via XX Settembre anche perché nessuna richiesta è pervenuta. A questo punto, richiediamo al ministero per i Rapporti con il Parlamento se conferma la sua versione e chi, per conto del Mef, ha dato indicazione di voto, se un esponente politico (viceministro o sottosegretario) oppure qualche direzione: “Il parere è del Mef come ministero – è l’enigmatica risposta –. La prassi prevede che il governo esprima parere sulle mozioni per il tramite del ministero competente, in questo caso il Mef. Non c’è nessun dipartimento o persona fisica”. Non il personale tecnico e neppure quello politico ma il Signor Mef in persona, quindi. Non aiuta a chiarire come sono andate le cose neppure il sottosegretario alle Politiche agricole Pesce, che ha rappresentato il governo in Aula, e che però non risponde sul punto. Naturalmente dal Tesoro negano nella maniera più assoluta questa ricostruzione, anche perché sul tema si è già espresso dal Giappone il ministro Tria in termini che smentiscono la versione che ora arriva dal ministero guidato da Riccardo Fraccaro: “E’ una cosa che sta nel loro programma, il ministero dell’Economia ha girato un parere negativo – ha detto il ministro a margine del G20 finanziario di Fukuoka, ricalcando poi la sentenza emessa da Mario Draghi – Penso che i minibot in un’interpretazione, quella del debito, non servono. Nell’altra, (quella della valuta ndr), ovviamente, ci sono i trattati e quindi non possono essere fatti”.

 

Lo scontro che fino a pochi giorni fa era sottotraccia, ma che adesso emerge sempre più alla luce del sole, segna una spaccatura sempre più profonda nel governo tra l’ala istituzionale Conte-Tria e quella più politica Di Maio-Salvini. Perché, a differenza di quanto sostiene il premier, sull’emissione di questa moneta surrogata e sulle ripercussioni rispetto alla permanenza dell’euro non va solo “chiesto a Claudio Borghi, il leghista che ha lanciato la proposta”. La proposta sui minibot infatti nasce da una mozione D’Uva-Molinari, firmata cioè dai capigruppo di Lega e M5s (non solo Lega), la versione approvata è stata sottoscritta anche dal M5s, il sottosegretario (Pesce) che ha espresso parere favorevole a nome del governo è del M5s, l’attacco al Mef e a Tria proviene da un ministero guidato dal M5s (Fraccaro) e dai leader del partito, sia quello istituzionale (Di Maio) sia quello movimentista (Di Battista). Si tratta di una proposta condivisa, che non a caso è uno dei punti del famigerato “contratto di governo” che – nelle sue diverse versioni più o meno abbozzate – esprime un rapporto quanto meno problematico con le regole europee e la permanenza nella moneta unica. La discussione sui mini-bot, una proposta inutile alla risoluzione dei problemi, che mina la credibilità del paese sui mercati e indebolisce la posizione del governo nella trattativa con Bruxelles, riporta però il governo a una contraddizione insolubile. Quanto più Conte e Tria cercano di assumere una posizione ragionevole e affidabile rispetto all’Europa e ai mercati, tanto più devono distaccarsi dal “contratto di governo” e dalle sue proposte sfasciste. In un certo senso ha ragione Di Battista quando dice: “I minibot sono nel contratto di governo. A chi risponde Tria?”. Il problema è sempre lì, in un patto politico nato per portare il paese a sbattere.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali