La sede della People’s Bank of China a Pechino (foto LaPresse)

Il caso per un Nirvana monetario e la profezia eretica di Dalio

Alberto Brambilla

Le tensioni commerciali spingono le Banche centrali verso altri stimoli. In futuro potranno agire di concerto con i governi?

Roma. Gli effetti degli aumenti tariffari minacciati dal presidente americano Donald Trump potrebbero ridurre il pil cinese mentre le rappresaglie di Pechino avrebbero solo un impatto marginale sugli Stati Uniti. Un effetto tangibile dell’imposizione di dazi è stata la riduzione delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti: nel primo trimestre dell’anno l’export cinese verso gli Stati Uniti è stato inferiore di 13 punti percentuali rispetto all’export cinese verso il resto del mondo. Secondo Capital economics, siccome il 3,2 per cento dell’economia cinese dipende dalle vendite negli Stati Uniti, questo potrebbe comportare una riduzione del pil di Pechino di circa 0,4 punti. Di più immediato impatto sono le trattative discontinue tra Washington e Pechino per un accordo che colpiscono la fiducia delle imprese e sui mercati finanziari di tutto il mondo.

 

L’incertezza porta gli investitori a stare fermi. “Raccomandiamo di rimanere fermi e non fare cambiamenti in portafoglio”, consiglia la banca svizzera Ubs. L’incertezza potrebbe anche fornire qualche motivazione in più alle Banche centrali per allentare nuovamente la politica monetaria dopo che hanno, da poco, invertito la prospettiva di una stretta così come era stata strombazzata alla fine dell’anno scorso, prima di essere prese in contropiede dal rallentamento dell’economia mondiale. Con l’inflazione che non mostra segni di accelerazione, dice un rapporto di IHS Markit, le Banche centrali hanno risposto di conseguenza: la Fed ha indicato che ci saranno meno aumenti dei tassi e che le riduzioni del suo bilancio saranno più limitate.

 

La Banca centrale europea, dopo aver bloccato gli acquisti di obbligazioni, il Quantitative easing, ha annunciato nuovi prestiti a lungo termine alle banche e ha segnalato che gli aumenti dei tassi sono molto lontani, fino al 2020. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ieri ha detto che non sa cosa farà dopo la fine del suo mandato, a novembre (viene spesso invocato come guida di un’Italia post-gialloverde). E’ difficile dire anche cosa farà il suo successore.

 

Intanto ci sono segnali di un nuovo round di stimoli altrove. La People’s Bank of China, anche in risposta alla contrazione dell’economia, e la Reserve Bank of India hanno iniziato l’allentamento. Altre seguiranno. La mancanza di un ulteriore inasprimento o di un alleggerimento servirebbe a limitare una ulteriore decelerazione dell’economia. E dopo? Il capo dell’hedgefund Bridgewater, Ray Dalio, ha esposto su Linkedin la sua teoria sul futuro della politica monetaria “Time to Look More Carefully at MP3 and MMT” che guarda a dieci anni da ora. Secondo Dalio se il MP1 era la politica monetaria basata sui tassi, il MP2 è stata quella del Qe, la MP3 sarà quella che agirà di concerto con la politica fiscale.

 

Per come la mette l’economista Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, Dalio non demonizza né sostiene la Teoria monetaria moderna (o MMT, coordinamento tra politica fiscale e monetaria) ma si limita a considerarla come uno dei possibili esiti. Secondo Dalio, i governi potranno chiedere alle Banche centrali di soddisfare alcuni obiettivi dati da loro, mentre le autorità monetarie potranno ricevere la delega, per esempio, ad alzare o abbassare le tasse sui consumi avendo così una ulteriore leva di controllo dell’inflazione. Una definitiva eliminazione dell’indipendenza delle Banche centrali dai governi rischia di prestarsi ad abusi politici. La profezia si avvererà?

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.