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Nuovi nomi per Alitalia, ma i soldi sono sempre quelli dei contribuenti

Andrea Giuricin

Spunta il nome di Toto, da salvato (AirOne) a salvatore. Mef, Ferrovie e ora concessionari autostradali: il protagonista è lo stato

Roma. Ogni giorno una nuova possibile soluzione per Alitalia. Ma sempre e comunque una soluzione di stato con un unico grande pagatore: il contribuente italiano. Dopo la girandola di compagnie aeree, i soci pubblici sono gli unici protagonisti certi in questa partita guidata dal comandante in pectore di Alitalia, Luigi Di Maio. Ferrovie dello Stato sono l’attore protagonista, mentre gli sparring partner continuano a cambiare quasi ogni giorno nell’incertezza politica più completa.

  

Dopo il tentativo di attrarre vettori da ogni parte del globo, con decine di compagnie che dovevano presentarsi ai blocchi di partenza nella vendita dell’ex compagnia di bandiera, ora siamo giunti ai concessionari autostradali come possibili grandi azionisti della nuova Alitalia. Da ultimo il gruppo Toto, che gestisce l’Autostrada dei Parchi, guidato da Riccardo Toto, figlio dell’ex patron di AirOne. Quella famosa AirOne che era finita nella nuova Alitalia proprio tra il 2008 e il 2009 con la cordata dei capitani coraggiosi: da salvato a salvatore il passo non è stato lunghissimo.

  

L’imprenditore non è nuovo al settore aereo dato che è degna di nota l’avventura – in maniera non certo brillante – proprio con l’ex compagnia aerea Livingston, poi fallita. E’ comunque bene ricordare che tutti questi investitori sarebbero interessati alla NewCo di Alitalia. Si prenderebbero le parti buone del nuovo vettore, mentre i debiti ricadrebbero su una ennesima bad company pagata da creditori e contribuenti. Un esempio è stato quello di Sea, che ha dovuto svalutare nel bilancio del 2018 oltre 25 milioni di euro di crediti verso Alitalia. Pertanto anche i cittadini milanesi che non utilizzano la compagnia aerea stanno pagando per il vettore.

 

C’è comunque da chiedersi perché il governo non riesca a trovare grandi investitori, pur trovandosi di fronte a una compagnia liberata dai debiti. La risposta è più semplice di quanto si possa pensare: poche aziende vogliono essere soci di minoranza e anche di maggioranza dello “stato imprenditore”. Non deve dunque sorprendere che gli investitori della nuova Alitalia siano tutti più o meno legati allo stato. Dall’intervento diretto da parte del ministero dell’Economia, che investirà i soldi degli interessi del prestito ponte – 900 milioni di euro che non verranno mai rivisti dai contribuenti – fino alle controllate come Ferrovie dello Stato. E a parte questi investitori, gli ultimi “tirati dentro” nella partita Alitalia dal governo sono le concessionarie, i cui ricavi dipendono molto dalla regolazione e dalle decisioni dell’esecutivo. Con le solite dinamiche “do ut des”.

   

Ma torniamo alla domanda chiave: perché Alitalia non è attrattiva anche se liberata dai debiti? Vi sono altri elementi da tenere in considerazione oltre al ruolo attivo del governo. Alitalia nel 2018 ha perso circa mezzo miliardo di euro e nel primo trimestre la perdita potrebbe essere all’incirca di 200 milioni: una compagnia molto debole, troppo piccola per essere competitiva. A livello europeo Alitalia trasporta ormai circa il 2 per cento dei passeggeri, contro oltre il 13 per cento sia di Lufthansa sia di Ryanair. E’ chiaro che una strategia stand alone è davvero poco attrattiva per il mercato e soprattutto rischia di diventare un suicidio nel medio periodo. Delta potrà essere interessata – con una piccola fiche – a non perdere il mercato italiano transatlantico, ma chiaramente non potrà mai gestire il vettore italiano essendo vettore extra europeo (non può farlo nemmeno per legge vista la legislazione vigente europea). E la soluzione del ministro Di Maio, oltre a prevedere un continuo e ulteriore esborso di denaro pubblico, è quella di una compagnia stand alone.

 

Dopo tutta questa girandola di nomi e investitori, una cosa è certa: comunque andrà a finire, a mettere i soldi sarà il contribuente italiano.

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