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Perché senza cooperazione l'Italia non sarà sovrana ma suddita

Alberto Brambilla e Renzo Rosati

Draghi, l'Unione europea e il progressivo isolamento del governo gialloverde fuori dalla logica e fuori dal mondo

Roma. “In un mondo globalizzato, i paesi per essere sovrani devono cooperare”. Il discorso di Mario Draghi in occasione della laurea ad honorem in Giurisprudenza all’Università di Bologna suggerisce che il percorso di isolazionismo dell’Italia col governo gialloverde, promotore di un fanatico euro-irredentismo, è il più dannoso possibile per “la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo”. Perché è questa la definizione della “sovranità” data da John Locke nel 1690 e che il presidente della Banca centrale europea cita. “La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce questo controllo: in altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità”. E’ proprio l’avventuristico tentativo di proclamarsi sovrani nella gara di audience social e tivù tra Lega e M5s ad accentuare il declino economico. 

   

E’ stato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, all’inaugurazione dell’anno accademico di Tor Vergata, a dire che “ciò che altrove [Francia e Germania] è appunto rallentamento per l’Italia significa recessione”. Nelle parole di Tria c’è una critica alla governance europea – e cambiarla è “necessario” anche secondo Draghi – ma appare la frustrazione e la solitudine, vissute dentro l’esecutivo. E’ un isolamento su tutti i fronti quello italiano: l’unico in Europa a sperimentare la recessione, l’unico in cui la disoccupazione aumenta anziché tendere alla diminuzione, l’unico che minaccia la nazionalizzazione della Banca d’Italia e di prendersi le riserve auree (che appartengono “al popolo”, non allo stato), l’unico eccentrico nelle politiche industriali e di sviluppo, da arrestare anziché incentivare, l’unico che discute per settimane di non fare una ferrovia moderna per collegarsi al resto d’Europa (la Tav), l’unico a portare i rapporti diplomatici con la Francia ai minimi storici, con un governo – eccentrico pure in questo – che per le elezioni europee mira ad alleanze con partiti identitari (la Lega fa parte del gruppo dei conservatori euroscettici Acre) o a movimenti anche paramilitari (le lusinghe del M5s ai gilet gialli). Non serve dunque leggere il rating dell’agenzia Fitch per capire che l’outlook, cioè la prospettiva, degli osservatori internazionali verso Roma è negativa, e non solo per l’anno in corso. L’Italia ha suoi campioni nazionali, resistenti anche ai downgrade del merito di credito sovrano, ma si sta staccando da alleanze continentali evitando di cooperare. “Cooperazione” è la parola che Draghi ha usato quindici volte nel suo discorso, ed è quello che l’Italia “sovranista” evita di fare allontanandosi da processi di integrazione politica e di sviluppo tecnologico.

   

Il trattato tra Francia e Germania firmato il 22 gennaio ad Aquisgrana da Angela Merkel e Emmanuel Macron, è l’atto finora più clamoroso della messa in disparte dell’Italia: questi accordi erano stati finora a tre oppure estesi a intese analoghe Germania-Italia e Francia-Italia. E di fatto azzera il trattato del Quirinale sottoscritto un anno prima tra Macron e Paolo Gentiloni. Il patto di Aquisgrana, 16 pagine e 15 progetti prioritari, spazia dall’Europa all’Onu (la Francia si impegna a sostenere la richiesta tedesca di seggio permanente nel Consiglio di sicurezza), e si concentra su due fronti: accordi industriali e commerciali, i trasporti, una linea comune per adattarvi i regolamenti comunitari, a cominciare dall’antitrust e dalle banche. Il primo esempio lo si è visto dopo che i regolatori di Bruxelles hanno bloccato la fusione Alstom-Siemens: quattro giorni fa i ministri Peter Altmaier e Bruno Le Maire hanno firmato un documento congiunto per chiedere, nella prossima legislatura, di cambiare le norme sulle concentrazioni e in generale sulle politiche industriali per creare campioni europei capaci di competere con quelli cinesi. Parigi e Berlino creeranno un consiglio permanente di consultazione di esperti economici e funzionari dei due governi, tra i quali dieci tecnici “indipendenti” per predisporre i dossier più spinosi. All’accordo la Germania avrebbe voluto associare la Spagna. Non solo. I governi tedesco e francese starebbero approntando una proposta per escludere dai fondi europei i paesi (come l’Italia) con conti pubblici non in regola, cioè il deficit italiano festeggiato sul balcone. Le alleanze riguarderanno anche le future cariche europee, a cominciare dalla Bce. Dove Mario Draghi nel suo settennato in scadenza a ottobre ha potuto contare sull’appoggio dei banchieri centrali di Francia e Spagna contro l’ortodossia tedesca. Al di là dei nomi, e scontato il fatto che la politica monetaria resterà abbastanza accomodante, ma l’Italia rischia di finire in minoranza anche all’Eurotower, e sarebbe la prima volta.

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