La Banca d'Italia (foto LaPresse)

L'assalto alla Banca d'Italia unisce Fdi e M5s

Luciano Capone

La proposta strampalata della Meloni di nazionalizzare Bankitalia potrebbe trovare un sostegno trasversale (Lega e grillini)

Roma. Dopo la campagna d’Africa, intesa come la surreale battaglia contro il franco Cfa e il colonialismo monetario francese, Giorgia Meloni punta su Via Nazionale. Obiettivo: nazionalizzare la Banca d’Italia. A costo zero, o quasi. La proposta della leader di Fratelli d’Italia – che peraltro potrebbe trovare l’appoggio di M5s e Lega – è appena arrivata alla commissione Finanze e, nonostante si occupi di una questione molto complessa, che coinvolge norme costituzionali e trattati internazionali, è molto asciutta. Si compone di due articoli: il primo dice che dal 1° marzo 2019 “le quote di proprietà della Banca d’Italia detenute da soggetti privati sono acquisite dal ministero dell’Economia e delle Finanze al loro valore nominale” stabilito nel 1936; il secondo invece abroga tre articoli della legge di riforma del 2013. Come per ogni soluzione populista sembra tutto semplice, ma la realtà è come sempre molto più complicata.

 

La proposta della Meloni funzionerebbe così: abolire la riforma del 2013 che ha rivalutato il capitale della Banca d’Italia da 156 mila euro a 7,5 miliardi di euro per poi far comprare al Tesoro, dopo averle svalutate ex lege, tutte le quote in mano agli istituti privati. Ma anche a un occhio non particolarmente esperto di questioni economiche e giuridiche risulta evidente che un’operazione del genere sarebbe una confisca, di fatto incompatibile con le leggi ordinarie e con l’articolo 42 della Costituzione che prevede di pagare un indennizzo in caso di esproprio per “interesse generale”. E il valore delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia non è affatto “fittizio” o simbolico, perché gli istituti che le possedevano – dopo la rivalutazione del 2013 – hanno pagato sulla plusvalenza un’aliquota del 26 per cento che ha già portato nelle casse dello stato 1.791 milioni di euro. Sarebbe quindi una vera e propria requisizione di tipo sudamericano se il Tesoro, dopo aver incassato quasi 1,8 miliardi di imposte su quelle quote, ora le acquistasse tutte per legge a soli 156 mila euro.

 

La norma non avrebbe quindi alcuna possibilità di superare un giudizio di costituzionalità dopo la pioggia di ricorsi che sicuramente arriverebbe da parte degli istituti bancari e degli enti proprietari che vedrebbero il loro asset azzerato, causando tra l’altro un buco di bilancio. Tra l’altro andrebbe ricordato, come fa il servizio studi della Camera, che i soggetti titolari delle quote di Via Nazionale non sono sempre gli stessi: dalla riforma del 2013 a oggi “sono state negoziate quote di partecipazione in misura pari al 33 per cento circa del capitale della Banca per un controvalore complessivo delle operazioni pari a 2,5 mld di euro circa”.

 

E tra gli acquirenti non ci sono grandi fondi speculativi ma nove casse previdenziali (quali, ad esempio, Cassa Forense, Enpam e Inarcassa), che hanno acquistato 47.960 quote, pari al 16 per cento del capitale, per un controvalore di circa 1,2 miliardi di euro, nonché sette fondi pensione che hanno acquistato il 33 per cento del capitale, investendo circa 247 milioni di euro. Infine, un altro 6 per cento delle quote, circa € 450 milioni è stato acquistato dalle fondazioni bancarie. Nella generalità dei casi questi istituti hanno acquistato le quote al valore fissato ex lege di 25 mila euro, ma la proposta della Meloni prevederebbe un risarcimento pari al valore stabilito nel 1936, e cioè 1.000 lire ciascuna (ovvero 0,52 euro).

 

La proposta è strampalata, non ha alcun fondamento giuridico né economico, eppure potrebbe avere – in teoria – un appoggio trasversale, visto che è identica a una proposta di legge del M5s risalente al 2016, presentata dalle migliori menti economiche del movimento: il sottosegretario al Mef Alessio Villarosa (colui che si è avvicinato allo studio del sistema bancario attraverso i video sui “rettiliani”); la presidente della commissione Finanze Carla Ruocco (celebre per le domande al governatore Ignazio Visco sull’oro di Bankitalia); il presidente della commissione Bilancio Daniele Pesco (sponsor di Elio Lannutti al Quirinale) e il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia (esperto di allunaggi).

 

La proposta del M5s è ancora più strampalata di quella della Meloni: prevede che a pagare il trasferimento delle quote al Mef sia la Banca d’Italia, che per l’occasione dovrebbe finanziare anche il “fondo per il reddito di cittadinanza”, in aperta violazione dei Trattati e delle regole del Sistema europeo delle banche centrali, di cui la Banca d’Italia fa parte, che proibiscono il finanziamento monetario. In un contesto di fragilità economica e di attacco all’autonomia e all’indipendenza della Banca centrale, l’assalto sudamericano ai caveau e ai torchi di Palazzo Koch sembra una via di fuga a costo zero dalla realtà e dai problemi economici, ma rischia di essere pagato a caro prezzo dal paese in termini di credibilità internazionale, e quindi di spread.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali