Alessio Villarosa (foto LaPresse)

Villarosa, il sottosegretario che guardava i video sui “rettiliani”

Luciano Capone

L’esperto di finanza del M5s (senza deleghe) ha scoperto il piano segreto di Bankitalia attraverso i documentari complottisti

Roma. Dopo le lamentele per il signoraggio perduto (da leggere la spiegazione del prof. Francesco Lippi) e le accuse ai “Savi di Sion”, nel dibattito economico italiano mancavano solo i “rettiliani”. I rettiliani sono per i complottisti una specie aliena a cui apparterrebbero politici e banchieri che controllano l’umanità. Ebbene, li ha tirati fuori in un convegno in Senato il sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa. Non che creda a quelle storie – non più, almeno – ma è attraverso quelle che ha visto la luce: “I primi documentari sui quali ho iniziato a capire il problema (del sistema bancario) erano quasi tutti complottisti, nel senso che non si spiegava la reale motivazione di questi passaggi e si pensava ai famosi rettiliani”. 

 

L’esponente più alto in grado del M5s per quanto riguarda il settore bancario e finanziario è intervenuto alla presentazione di un libro di Elio Lannutti, il senatore M5s autore del tweet sui Protocolli dei Savi di Sion, e Franco Fracassi, un grillino già autore di un documentario cospirazionista sull’11 settembre. Era l’occasione giusta per prendere le distanze dall’uscita antisemita del suo collega di partito e invece Villarosa, dopo essersi complimentato con Lannutti (che d’altronde è stato la prima persona ad essere ricevuta dal sottosegretario in Via XX Settembre), ha rilanciato tesi altrettanto fantasiose: “Se mi sono avvicinato al M5s è perché ho scoperto cosa era successo in Banca d’Italia e al nostro sistema bancario”. Secondo Villarosa ci sarebbe un progetto iniziato nel 1981 con il famoso “divorzio” tra Tesoro e Bankitalia che avrebbe portato all’esplosione del debito pubblico e quindi alla privatizzazione delle banche, che sono state messe in ginocchio deliberatamente: “Un attore di questa conquista del sistema bancario da parte dei privati è stata Banca d’Italia” perché “avevano una necessità di avere un vigilante che potesse aiutare la privatizzazione del sistema”.

 

E così Villarosa, che intellettualmente si è formato sui documentari sui rettiliani, ha fatto “un’analisi approfondita”. Si è studiato le quote dei partecipanti al capitale di Banca d’Italia e, voilà, “ci siamo resi conto che due-tre banche avevano la maggioranza più uno dei diritti di voto e la prima esclusa era Mps”. E guarda caso “la prima ad andare in crisi è Mps”. Naturalmente Villarosa non sa che i poteri delle banche che posseggono quote di partecipazione della Banca d’Italia sono pressoché inesistenti (“L’Assemblea non ha alcuna ingerenza nelle materie relative all’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dal Trattato, dallo Statuto del Sebc e della Bce, dalla normativa dell’Unione europea e dalla legge”, dice l’art. 6 dello statuto di Banca d’Italia); e non sa che è tecnicamente impossibile che due o tre banche abbiano la maggioranza assoluta dei diritti di voto (“Nessun partecipante può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 3 per cento. Per le quote possedute in eccesso non spetta il diritto di voto e i relativi dividendi” (art. 3 dello statuto). Queste banali evidenze sarebbero sufficienti a demolire il teorema di Villarosa, campato per aria, da cui deriva la necessità di una sorta di “nazionalizzazione” della Banca d’Italia, che è già pubblica (e pertanto un riacquisto di quote che non danno dividendi né diritto di voto sarebbe solo un grande regalo alle banche che le posseggono).

 

Per quanto riguarda la proposta del M5s di “nazionalizzazione” di Bankitalia, che dovrebbe risolvere tutti questi problemi che fanno di Palazzo Koch la prima fonte dei fallimenti bancari italiani, Villarosa afferma di aver tratto ispirazione da “uno studio della Banca centrale di Svezia che si chiama: ‘The governing a governor’ (sic!). Sono rimasto scioccato – ha detto il sottosegretario al Mef – perché parlava dell’Italia e raccontava come le banche centrali dovessero essere obbligatoriamente pubbliche e l’unico caso veramente strano da valutare e da attenzionare era la Banca d’Italia”.

 

In realtà l’esperto di finanza del M5s non deve aver capito molto dalla lettura del paper della Sveriges Riskbank, a partire dal titolo che è “Governing the governors” (non l’improbabile “The governing a governor”). Ma Villarosa deve avere le idee confuse anche sul contenuto, visto che i tre economisti autori dello studio – tra cui l’italiano Giancarlo Spagnolo – non dicono affatto che sia necessario “nazionalizzare” Bankitalia. E neppure sostengono che tra le banche centrali quello dell’Italia sia “l’unico caso” anomalo, ma fanno l’esempio della Federal Reserve statunitense, la cui situazione viene definita analoga. Eppure la lettura sbagliata di uno studio di cui Villarosa non sa pronunciare correttamente il titolo è stato per il M5s un punto di svolta: “Da quel momento abbiamo finalmente capito, o almeno abbiamo un’idea chiara su come siano state costruite le privatizzazioni bancarie”. E’ Palazzo Koch che manda gambe all’aria gli istituti di credito per farli acquisire dai big player, secondo una successione che Villarosa è in grado di prevedere: “Andate a vedere la classifica delle banche italiane per attivi patrimoniali: sono le più grandi che vengono inglobate”. Villarosa stila l’elenco delle banche andate in dissesto e avvisa che “il piano non è ancora finito”.

 

E’ inquietante che l’esperto di banche del primo partito italiano abbia studiato il sistema bancario dai documentari sui “rettiliani” e faccia discorsi senza senso basati su ipotesi prive di fondamento. Ma ciò fa capire con estrema chiarezza il motivo per cui il ministro dell’Economia Giovanni Tria non abbia distribuito le deleghe: a Villarosa sarebbe toccata quella sulle banche.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali