Non c'è nessun complotto. La verità, vi prego, sul signoraggio

Francesco Lippi

Ma quale “privatizzazione”, Bankitalia gira al Tesoro tutti i redditi monetari (e con l’euro sono pure aumentati)

E’ raro che un tema per specialisti di economia monetaria, come è il signoraggio, entri nel dibattito pubblico. Normale non sapere di che si tratti. Ecco quindi poche cose da tenere a mente per non fare figuracce. Iniziamo col dire cos’è: il signoraggio è il reddito derivante dalla emissione di moneta. Nelle economie moderne la Banca centrale crea la moneta e la immette nell’economia tramite l’acquisto di titoli del debito pubblico. E da tale operazione la Banca centrale trae un guadagno netto per interessi (la moneta paga zero interessi, i titoli pagano interesse positivo).

  

 

Il lettore potrebbe sospettare che partecipando all’euro l’Italia abbia perso il proprio signoraggio perché con la scomparsa delle lire la creazione di moneta è diventata una prerogativa della Banca centrale europea (Bce). Non è così. Al netto delle spese di funzionamento, la Bce retrocede tutti i proventi da signoraggio alle banche centrali partecipanti in proporzione alle capital keys (che sono, in sostanza le quote “azionarie” detenute da ciascuna Banca centrale nazionale). La Banca d’Italia, fatti gli accantonamenti a riserva, trasferisce quindi il signoraggio ricevuto al Tesoro (insieme ad altri redditi derivanti da investimenti non connessi con la politica monetaria). E’ completamente fuorviante affermare che con la creazione della Bce si sarebbe “privatizzato” il reddito da signoraggio: non è stato privatizzato nulla, e i redditi monetari così generati continuano ad affluire al Tesoro, come in passato.

  
Uno sguardo ai dati mostra che i trasferimenti di Bankitalia al Tesoro, dopo il pagamento delle imposte, con l’euro sono tendenzialmente aumentati. In parte grazie al fatto che l’euro è una moneta appetibile che, come avviene per il dollaro, è domandata in grandi quantità anche fuori dai confini (si pensi ai molti paesi in cui viene utilizzato pur non essendo la valuta ufficiale). Questo era impensabile ai tempi della lira, una moneta debole con frequenti svalutazioni che la rendevano sgradita agli occhi dei risparmiatori. I dati, reperibili online dalla Relazione annuale della Banca d’Italia, confermano il positivo andamento delle entrate da signoraggio. A fronte di un’inflazione molto bassa, si sono registrati trasferimenti record al Tesoro, molto sopra i valori degli anni passati, anche in consegue delle iniezioni di liquidità del Quantitative easing. È importante notare che l’inflazione è rimasta bassa: se l’inflazione fosse salita, come successo in molti episodi del passato in cui qualche banca centrale ha abusato del suo poter di batter moneta, essa avrebbe potuto ridurre il valore reale del signoraggio.

  

 “E’ singolare che si parli oggi con toni nostalgici di signoraggio, come se con la partecipazione all’euro avessimo perso la gallina dalle uova d’oro. In primis, perché le uova non le abbiamo perse: ci vengono spedite da Francoforte ogni anno. In secundis, perché queste uova sono veramente piccole”

 

Una seconda osservazione, che mette la questione in prospettiva, è che il signoraggio è una grandezza secondaria del quadro macroeconomico: meno dello 0,02 per cento del pil (circa 300 milioni di euro derivanti da azioni e partecipazioni nel 2015). Volendo estendere al massimo il concetto di signoraggio fino a includere gli altri redditi prodotti dalla Banca d’Italia e retrocessi al Tesoro si arriva a quasi 5 miliardi nel 2017 (tramite imposte e dividendi), una cifra molto al disopra dei valori storici, ovvero lo 0,3 per cento del pil. Nelle economie sviluppate, dove la spesa pubblica per beni, servizi e trasferimenti si aggira tra il 40 e il 50 per cento del pil, non c’è nessun paese in cui questa voce rivesta un ruolo di rilievo nel finanziamento della spesa.

 

Per trovare esempi di paesi ove il signoraggio risulta essere un’importante finanziamento della spesa bisogna spostare l’attenzione verso economie con gravi problemi di finanza pubblica: di fronte all’incapacità di trovare imposte per finanziare le spese, come accade da tempo in Venezuela, o come accadde in Austria e Ungheria dopo la caduta dell’impero asburgico, l’ultima ratio è quella di finanziare una parte significativa delle proprie spese stampando moneta. Ciò conduce, molto rapidamente, all’inflazione. Nessuna sorpresa: la relazione tra crescita monetaria e inflazione è tenue quando l’inflazione è bassa, ma ci sono poche previsioni economiche robuste come quella che dice che se il tasso di crescita monetaria diventa a doppia cifra allora l’inflazione lo segue: quando si stampa molta moneta questa finisce per alimentare la crescita dei prezzi.

 

Non so se i nostalgici del signoraggio conoscano l’inflazione italiana degli anni ‘80: è utile ricordare che quella situazione di instabilità monetaria e sociale minava il funzionamento del sistema economico, e che l’elevata inflazione andava a colpire più duramente le famiglie più povere, quelle con redditi fissi e limitato accesso a strumenti finanziari sofisticati. E’ proprio per risolvere quel problema che l’Italia, come molti altri paesi, scelse si separare le politiche del Governo dalla Banca centrale, che rimase ovviamente responsabile di fronte al Parlamento, nel pieno rispetto delle regole democratiche. E’ singolare che si parli oggi di signoraggio con toni nostalgici, come se con la partecipazione all’euro avessimo perso la gallina dalle uova d’oro. In primis, perché le uova non le abbiamo perse: ci vengono spedite da Francoforte ogni anno. In secundis, perché queste uova sono veramente piccole: dibattere di questi dettagli è nocivo perché distoglie l’attenzione da problemi ben più urgenti per la nostra economia, come la bassa produttività del lavoro e la recente riduzione della crescita del pil.

 

Francesco Lippi è professore di economia all'Università Luiss

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