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Il metodo del far nulla

Redazione

Accordi gialloverde ostaggi della cultura del no. Il caso del riciclo dei rifiuti

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il non fare. E’ finita di nuovo senza un accordo la vicenda che vede contrapposte le posizioni di Lega e M5s in tema di riciclo dei rifiuti e per questo gli emendamenti al decreto Semplificazioni presentati dai due partiti saranno ritirati. Da una parte c’è la proposta dei senatori leghisti, che prevede che le regioni possano continuare ad autorizzare gli impianti con valutazioni “caso per caso”, dall’altra quella dei senatori grillini, che toglie questa autonomia agli enti territoriali e chiede di ricontrollare tutte le autorizzazioni fino a ora rilasciate per verificarne la conformità a un decreto vecchio di vent’anni, ormai inadeguato a campionare i materiali che oggi usiamo, consumiamo e ricicliamo piuttosto che a non meglio definite “linee guida” che il ministero dovrebbe emanare entro i prossimi mesi. Una misura che secondo le associazioni di categoria potrebbe determinare il blocco del settore, con il rischio conseguente di riciclare di meno e inviare una quantità maggiore di rifiuti in discariche e inceneritori.

 

Un pasticcio per il M5s, che ha sempre detto di considerare l’economia circolare come “un elemento fondamentale” per il sistema dei rifiuti e per l’ambiente. Imprese e regioni hanno ribadito il loro sostegno all’intervento leghista, ma in mancanza di un accordo politico ora si prospetta lo stallo, come ha rivelato ieri su Facebook il senatore Paolo Arrigoni, primo firmatario dell’emendamento del Carroccio. Non è la prima volta che le norme sul cosiddetto “end of waste” vengono rinviate da quando si è insediato il governo gialloverde. L’atteggiamento disfattista che ha accompagnato la vicenda potrebbe essere una spia per tutti quei provvedimenti secondari che non rientrano nel contratto di governo su cui Lega e M5s hanno posizioni diverse. Settori produttivi, come questo, che tratta ogni anno 56,5 milioni di tonnellate di rifiuti e ha un valore di 12,6 miliardi di euro, bloccati nel braccio di ferro politico di due alleati di governo incapaci di governare insieme.

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