Foto LaPresse

L'utopia dell'Europa del ferro

Andrea Giuricin e Silvia De Rocchi*

Non c’è soltanto l’opposizione popolare o la ritrosia dei governi a fermare la creazione di una “ferrovia unica europea”. Le locomotive e i sistemi di comunicazione parlano lingue diverse (come i macchinisti) e le tecnologie sono ancora difformi

Il tema delle grandi opere è tornato in auge nella discussione politica italiana. In particolare l’analisi costi benefici ha posto l’attenzione sull’utilità o meno delle infrastrutture ferroviarie che hanno anche l’obiettivo di creare un mercato ferroviario unico a livello europeo. I corridoi ferroviari sono sicuramente una delle politiche più importanti a livello europeo per cercare di spostare parte del traffico merci attuale dalla gomma al ferro. Questi corridoi sono stati pensati negli anni scorsi e sono finanziati in maniera importante (anche fino al 40 per cento) dall’Unione europea. E’ questo sicuramente il caso della TorinoLione, la Tav, che fa parte di quello che era conosciuto come corridoio 5 e che ora che ha l’obiettivo di creare un’infrastruttura con alti standard tecnologici ed infrastrutturali (chiamata “core network” nella politica TEN-T dell’Unione europea) tra la Spagna e il confine dell’Ucraina. E l’Italia è un paese di transito importante per questo corridoio. Molto simile è il caso del cosiddetto “core network” Reno-Alpi, che serve a creare una linea di forza, principalmente per il traffico merci ferroviario, tra l’Olanda e il porto di Genova. Questi corridoi sono dunque la politica di punta, anche in termini finanziari, per la creazione di un’area unica europea. Gli investimenti in Italia come la Torino – Lione e il Terzo Valico, sono gli investimenti nazionali per completare una linea unica e dare forza al settore ferroviario. L’obiettivo è quello di avere un’area unica nella quale i diversi operatori possano operare come se fosse un unico paese: esattamente quello che è successo nel settore aereo con il processo portato avanti nel corso degli anni ’90.

    

E’ bene ricordare che il settore ferroviario merci funziona bene sotto determinate condizioni. In primo luogo con tratte relativamente lunghe, perché nelle corte distanze la distribuzione delle merci su gomma è la più efficiente. In secondo luogo con treni “lunghi e pesanti”, perché è proprio su grandi quantità di merci che il settore ferroviario è il più competitivo. Non è un caso che il paese nel quale la quota modale del trasporto merci su ferro è superiore al 46 per cento sono gli Stati Uniti (un esempio tra i paesi avanzati), che vede una forte presenza di operatori privati che fanno treni lunghi e pesanti per distanze molto elevate.

  

In Europa lo standard di questi “core network” è avere treni lunghi fino a 750 metri e con sagome P/C 80 (fino a 4,1 metri di altezza). Le nuove infrastrutture in costruzione seguono questo standard, ma è chiaro al contempo bisogna anche migliorare le infrastrutture esistenti anche in altre parti del network (quali ad esempio nei porti). Non pensare al trasporto merci in un’ottica multimodale è un errore gravissimo, perché se ad esempio treni lunghi 750 metri non possono entrare o uscire dal porto di Genova, è anche inutile fare il Terzo Valico. E’ però chiaro che se queste infrastrutture non vengono costruite, non si potranno avere i treni necessari per rendere il trasporto su ferro competitivo al trasporto su gomma, perché tutta la rete deve avere uno standard unico.

bTuttavia i problemi infrastrutturali così come descritti non sono gli unici che bloccano la creazione di un’Europa unica ferroviaria. Vi sono problematiche irrisolte a livello europeo altrettanto gravi quali la mancanza di una lingua comune (come l’inglese nel settore aereo), sistemi di comunicazione tra treno e rete ferroviaria diversi e la mancanza di coordinamento tra i diversi gestori dell’infrastruttura in caso di problematiche. Per quanto riguarda l’Ertms (European rail traffic management system) e in generale la comunicazione tra il treno e l’infrastruttura di terra è necessario avere uno standard comune. Diversi standard obbligano a cambiare locomotiva in molti casi ad ogni cambio di paese. I cambi di tecnologia sono notevolissimi e rapidi non solo da paese a paese, ma in alcuni casi anche all’interno di ogni paese, rendendo il trasporto merci ferroviario molto costoso. E’ come se all’entrata di ogni paese un camionista dovesse cambiare mezzo prima di procedere. Sembra assurdo ma è ancora così e di fatto questo comporta uno svantaggio competitivo per il settore ferroviario merci. Esistono per esempio locomotive con più sistemi di bordo, quindi compatibili superato il confine, ma che costano molto di più e di fatto portano a un aumento di costo totalmente assurdo. Per quanto riguarda la lingua, nel settore ferroviario merci è necessario che il macchinista sappia comunicare nella lingua del paese attraversato. Questo chiaramente non succede né nel settore aereo – molto più internazionale di sua natura – né per il traffico merci su gomma. Questo provoca dei costi aggiuntivi, perché a ogni cambio di confine è necessario cambiare anche il macchinista. Questa peculiarità si aggiunge a un altro dei problemi esistenti nel settore ferroviario che di fatto non permette di avere un mercato unico europeo: la mancanza di coordinamento tra i diversi gestori nel momento di criticità. Proprio questo anno, un grave blocco della circolazione ferroviaria in Germania (Rastatt) ha bloccato molto del traffico nord-sud Europa – l’Italia è stato uno dei paesi più penalizzati – e le deviazioni necessarie in Francia hanno riscontrato problemi perché non vi erano abbastanza macchinisti capaci di parlare in francese. La mancanza di coordinamento in caso di crisi, con i relativi problemi legati alla lingua, ha portato per 51 giorni a un blocco molto importante del traffico ferroviario merci tra nord e sud dell’Europa. Vi sono anche delle problematiche specifiche per quanto riguarda l’Italia. A livello nazionale è utile sottolineare che il trasporto ferroviario merci è gravato dall’obbligo di avere il doppio macchinista che comporta dei costi aggiuntivi dell’8 per cento superiori. Questa normativa esiste solo in Italia, in un settore che oltretutto ha carenza di macchinisti. In Italia, paese che ha un’economia improntata all’export, vede inoltre dei pedaggi dell’infrastruttura ferroviaria per il traffico internazionale molto più elevati rispetto alle tratte nazionali e a corta percorrenza. Qualcosa che, di fatto, penalizza il nostro paese nel momento in cui si vogliono esportare merci tramite il settore ferroviario. Anche per queste caratteristiche peculiari italiane, la quota di mercato dei camion nel trasporto merci è superiore all’85 per cento in Italia, superiore alla media dell’Unione europea che è al 71 per cento (considerando solo il traffico strada-ferro). La differenza negativa per il nostro paese è vicina a 14 punti percentuali. Se invece facciamo un confronto tra l’Italia e la Svizzera, uno dei paesi leader del trasporto merci su ferro la differenza è superiore a 22 punti percentuali.

  

Ci sono altri due fattori da tenere in considerazione nel confronto strada-ferro: le merci che viaggiano su strada hanno dell’esternalità negative maggiori, quali l’incidentalità maggiore e l’inquinamento. In generale il trasporto su gomma è 36 volte più pericoloso del trasporto su ferro (dati ufficiali dell’Era, l’agenzia ferroviaria europea). E forse può stupire i non addetti al settore che l’Italia è un paese sicuro nel settore ferroviario, avendo dati di incidentalità inferiori alla Francia e al Belgio. Vi è poi da considerare il vantaggio ambientale dell’utilizzo del trasporto merci ferroviario rispetto a quello su gomma, un tema molto caro al M5s. Lo studio dell’European environment agency, agenzia dell’ambiente indipendente dell’Unione europea, evidenzia che il trasporto merci su strada emette 139 grammi di anidride carbonica per tonnellata chilometro, vale a dire quasi 10 volte di più del trasporto merci su ferro. In definitiva è chiaro che non esiste un’Europa unica dal punto di vista ferroviario e che ancora molta strada è da fare. Le problematiche non sono solo da un punto di vista infrastrutturale stretto, ma ci sono problemi di regolazione che di fatto bloccano uno sviluppo competitivo del settore merci ferroviario. E’ necessario dunque cercare di spingere, con azioni concrete, affinché il settore ferroviario merci possa diventare competitivo. Solo in questo modo potremo avere un settore logistico più competitivo, che farà costare molto meno il trasporto delle merci e renderà l’economia europea più competitiva. Fino ad allora un’unione del ferro sarà ancor utopia.

  

*Giuricin è esperto di trasporti dell’Università Milano Bicocca, De Rocchi è Regulation and Policy Advisor alla European Rail Freight Association

Di più su questi argomenti: