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Come si denuncia il bluff della manovra

Luciano Capone

Banca d’Italia, Commissione, Corte dei conti, Fmi, Inps, Istat, Svimez, Upb. Numeri utili contro chi dà i numeri

Roma. Il deficit sarà più alto del previsto, la crescita più fiacca di quanto ipotizzato, l’aumento dello spread comporterà costi consistenti per le banche e l’economia e pertanto il debito pubblico non scenderà. E poi le tasse aumenteranno, i provvedimenti di spesa su reddito di cittadinanza e pensioni sono pieni di insidie e non otterranno gli effetti auspicati. Le osservazioni delle principali istituzioni nazionali e internazionali sulla legge di Bilancio presentata dal governo sono tutte molto critiche: soprattutto per quanto riguarda le stime considerate troppo ottimistiche. Di seguito i principali rilievi alla manovra, raggruppati per argomento, di Banca d’Italia, Commissione europea, Corte dei Conti, Fondo monetario internazionale, Inps, Istat, Svimez, Ufficio parlamentare di Bilancio.

 

Crescita

Crescita molto più bassa, deficit molto più alto, debito pubblico elevato, tasse che salgono, pensioni che rischiano di esplodere, risparmio a rischio, lavoro che non si crea e spread che strozza l’economia. Credere alle previsioni del governo è dura. Una rassegna ragionata dei giudizi sulla manovra dello sforamento

Il governo ha definito nella Nota di aggiornamento al Def gli obiettivi crescita della manovra “ambiziosi ma realistici”. Secondo il ministro Tria la politica economica del governo dovrebbe condurre a “una crescita del pil di almeno l’1,5 per cento nel 2019 e l’1,6 per cento nel 2020, come indicato nel nuovo quadro programmatico”. Per tutte le altre istituzioni questi obiettivi sono ambiziosi sì, ma totalmente irrealistici. Per la Banca d’Italia le previsioni di crescita vengono alzate grazie all’effetto dei provvedimenti inclusi nella manovra, ma “l’impatto previsto di questi ultimi è elevato; la stima del Governo presuppone che i valori dei moltiplicatori delle misure espansive siano superiori a quanto generalmente stimato per l’Italia”. Secondo quanto detto dal vice direttore generale Signorini in audizione al Parlamento: “L’aumento dei trasferimenti correnti, quali quelli connessi con la spesa sociale, così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”. La Commissione europea è invece molto più secca e sintetica: “Nel 2019, una ripresa delle esportazioni e una maggiore spesa pubblica contribuiranno a far salire la crescita del pil reale all’1,2 per cento”. Ma non è un dato certo, visto che “i ritardi di attuazione e le strozzature amministrative dovrebbero ritardare l’impatto moderato sulla crescita delle misure politiche nel periodo di previsione”, c’è scritto nella Autumn economic forecast di Bruxelles. Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) “Il rallentamento congiunturale già sottolineato in occasione della presentazione della Nadef si è ulteriormente accentuato” e pertanto “Secondo le stime di breve termine dell’Upb la crescita del 2019 già acquisita risulterebbe pari allo 0,1 per cento, rendendo l’obiettivo di aumento del pil per il prossimo anno (1,5 per cento) ancora più ambizioso di quanto già rilevato in precedenza”. L’Istat, come già annunciato diverse settimane fa, ha rilevato una “battuta d’arresto” della crescita dell’economia italiana per la prima volta dopo 14 trimestri consecutivi positivi. Un risultato negativo che pregiudica il raggiungimento dell’obiettivo di crescita definito dalla nota di aggiornamento del Def (+1,2 per cento), e in prospettiva anche quello per l’anno prossimo. L’istituto inoltra rileva, per il 2019, un peggioramento nei giudizi e nelle attese sulla situazione economica del Paese. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) indica un tasso di crescita addirittura inferiore a quello previsto dalla Commissione: “Prevediamo una crescita economica annuale di circa l’1 per cento nel 2018-20, in calo successivamente”. E questo perché “l’impatto sulla crescita dello stimolo sarebbe incerto nei prossimi due anni e probabilmente negativo nel medio termine, se dovesse persistere uno spread elevato”.

 

Deficit

“L’impatto della manovra è incerto nei prossimi due anni e probabilmente sarà negativo nel medio termine”, dice il Fmi

Meno crescita vuol dire anche più deficit. Il governo ha fissato il disavanzo al 2,4 per cento che, come ha scritto il ministro Tria nella lettera inviata ai commissari Moscovici e Dombrovskis, “sarà considerato un limite invalicabile”. Ma anche su questo nessuno sembra credere al governo. “Il deficit complessivo per il 2019 è stimato a circa il 2,6-2,7 per cento del pil – scriva il Fmi nella relazione sulla sua missione in Italia –. Per il 2020-21, i disavanzi sono previsti a circa il 2,8-2,9 per cento, a meno che non vi sia un ampio sostegno politico per attivare la clausola di salvaguardia Iva o trovare misure compensative (nella misura dello 0,7-0,8 per cento del pil), che tuttavia si sono rivelate molto difficili fare in passato”. Neppure la Commissione europea considera le clausole di salvaguardia per il biennio 2020-2021 ed è più pessimista del Fondo, con dati che stanno portando il paese verso la procedura d’infrazione: “Nel 2019, il disavanzo dovrebbe aumentare al 2,9 per cento del pil a causa delle misure previste. Si prevede che il saldo strutturale si deteriorerà al -3 per cento. Nel 2020, il deficit dovrebbe raggiungere il 3,1 per cento del pil”. Le stime dell’Upb sono in una via di mezzo tra il governo e la Commissione, ma comunque peggiori rispetto al 2,4 dell’esecutivo: “L’indebitamento netto si posizionerebbe nel 2019 al 2,6 per cento del pil. In particolare, le divergenze rispetto alla stima della Nadef e a quella recentemente diffusa dalla Commissione europea sono imputabili alla diversa previsione sulla crescita economica e all’impatto dell’aumento dello spread sulla spesa per interessi”.

 

Spread

“L’aumento dello spread si ripercuote sull’economia e rischia di vanificare l’impulso espansivo della politica di bilancio”, dice Bankitalia

L’aumento del rendimento dei titoli di stato iniziato a maggio è uno dei fattori di rischio più rilevanti secondo gli osservatori. “L’aumento dello spread sovrano si ripercuote sull’intera economia (famiglie, imprese, istituzioni finanziarie)– ha detto Signorini di Bankitalia in audizione – . La crescita dei tassi di interesse sul debito pubblico ha un effetto in qualche modo comparabile a una stretta monetaria. Essa rischia di vanificare tutto l’impulso espansivo atteso dalla politica di bilancio. Davanti a un’eventuale nuova recessione l’Italia si troverebbe con un disavanzo relativamente elevato, come prima della crisi, e un’incidenza del debito sul prodotto perfino superiore”. Il vicedirettore generale di Palazzo Koch ha dato dei numeri sul “considerevole innalzamento dei tassi di interesse” causato anche dal “conflitto con gli organi dell’Unione europea sul rispetto delle regole comuni”: “Questo aumento è già costato al contribuente quasi 1,5 miliardi di interessi in più negli ultimi sei mesi, rispetto a quanto si sarebbe maturato con i tassi che i mercati si aspettavano ad aprile; costerebbe oltre 5 miliardi nel 2019 e circa 9 nel 2020, se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati”. Per l’Upb “l’evoluzione più recente dei tassi di interesse, oltre a impattare negativamente sulla crescita del prodotto, comporterà una spesa per l’onere del servizio del debito più elevata di quanto ipotizzato al momento della stesura della Nadef”. Secondo il Fmi l’aumento vertiginoso dello spread può mangiarsi l’effetto espansivo della manovra: “L’impatto positivo previsto a breve termine dello stimolo – anche con le nostre ipotesi di moltiplicatori fiscali relativamente elevati – rischia di essere contrastato dall’effetto negativo derivante dal persistente aumento degli spread sovrani, che si trasmettono in maggiori costi di finanziamento del settore privato. L’effetto complessivo a breve termine sulla crescita, quindi, è ambiguo, – scrive il Fondo – mentre l’impatto a medio termine sarà probabilmente negativo”. Secondo lo Smivez – il centro di ricerca per lo sviluppo dell’industria al Sud – l’aumento dello spread porterà per l’anno prossimo una riduzione della crescita potenziale di un terzo nel Mezzogiorno (e dello 0,25 per cento in Italia). L’istituto infatti ha già registrato una tendenza negativa dei prestiti erogati dalle banche nel corso del 2018, in particolare nel secondo trimestre e in particolare al Sud, dove lo spread ha avuto gli effetti più negativi.

 

Tasse

A dispetto di una campagna elettorale in nome della “flat tax” e della riduzione della pressione fiscale, le tasse aumentano. L’Upb scrive che “la manovra di bilancio per il 2019 prevede misure quantitativamente e qualitativamente rilevanti sul reddito di impresa e su quello di lavoro autonomo dalle quali è atteso un aumento del carico tributario pari, complessivamente, a 6,1 miliardi nel 2019 e una riduzione dello stesso di 0,5 miliardi nel 2020 e di 1,8 dal 2021”. L’organo presieduto da Giuseppe Pisauro certifica che “l’incremento di gettito nel 2019 è dovuto in buona misura a interventi di natura straordinaria che si concentrano prevalentemente sul settore finanziario e su quello assicurativo (circa 4,3 miliardi) e alla abrogazione del regime opzionale dell’Iri previsto per le società di persone e le imprese individuali (2 miliardi)”. Per l’Istat dalla riduzione dell’Ires per gli utili reinvestiti e spesi in maggiore occupazione, finanziata con l’abrogazione dell’Ace e dell’Iri deriva un aumento delle tasse: “Nel complesso i provvedimenti analizzati generano una riduzione del debito di imposta Ires per il 7 per cento delle imprese, mentre per più di un terzo tale debito risulta in aumento. L’aggravio medio di imposta è pari al 2,1 per cento: l’introduzione della mini-Ires (-1,7 per cento) non compensa gli effetti dell’abrogazione dell’Ace (+2,3 per cento) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5 per cento)”. L’aggravio maggiore sarebbe tra le imprese più piccole, fino a 10 dipendenti. Cioè quelle che più avevano riposto fiducia nel nuovo esecutivo. Secondo la Corte dei Conti sono soprattutto gli aumenti di tassazione su banche e assicurazioni ad assicurare il finanziamento della manovra (per oltre il 54 per cento delle nuove entrate), su un settore già provato dalla crisi e dallo spread. Non mancano i classici aumenti di tasse sui giochi e sui tabacchi. La Corte dei Conti è critica sulla riduzione di imposta per le partite Iva (la cosiddetta flat tax – che non lo è): “la sempre più estesa applicazione di regimi sostitutivi sta ormai conferendo all’Irpef la valenza di un’imposta personale progressiva solo per i redditi di lavoro dipendente e di pensione”. Facendo pesare solo su queste categorie la progressività fiscale. Inoltre il rischio di una nuova aliquota sostitutiva al 15 per cento per le piccole partite Iva è di favorire l’utilizzo di questo regime piuttosto che costituire nuovi rapporti di lavoro dipendente, ben più garanti dei diritti dei lavoratori. Altro rischio è dovuto al fatto che la riduzione delle tasse per le imprese più piccole potrebbe incidere sulle decisioni di crescita dimensione delle imprese, auspicabile per l’aumento della produttività. In definitiva per la Corte “andrebbero preservate alcune misure di incentivazione che hanno mostrato una elevata efficacia”, riferendosi in particolare a super e iper ammortamento del piano Industria 4.0.

 

Reddito di cittadinanza

Rispetto al provvedimento fortemente voluto dal M5s sono state avanzate diverse obiezioni e suggerimenti: “L’aumento dei trasferimenti correnti tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”, è la premessa di Bankitalia. Che poi ha aggiunto: “Con riferimento al reddito di cittadinanza, il perseguimento dell’obiettivo di protezione sociale non deve disincentivare l’offerta di lavoro. Determinante a questo fine è il livello del beneficio rispetto al salario potenziale che il lavoratore sarebbe in grado di guadagnare sul mercato”. Suggerimenti simili, rispetto a un impianto che– almeno dalle indiscrezioni – appare troppo generoso, rigido e complicato sono arrivati dal Fmi: “Mentre il disegno del reddito di cittadinanza deve ancora essere finalizzato, consigliamo di stabilire i benefici a livelli che non distorcano gli incentivi per trovare lavoro regolare”. L’Istat non ha valutato nel dettaglio la misura anti-povertà del governo poiché in legge di bilancio non vi sono i dettagli del provvedimento. Nella audizione sono però stati presentati i dati sul moltiplicatore del reddito di cittadinanza: secondo l’Istat il sussidio causerà un aumento del Pil molto leggero, inferiore alla spesa: “Sotto l’ipotesi che il Reddito di cittadinanza corrisponda a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi, secondo le simulazioni effettuate il pil registrerebbe un aumento dello 0,2 per cento rispetto allo scenario base. Questa reattività potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3 per cento”. Un leggero aumento del Pil che avverrebbe se il reddito di cittadinanza venisse introdotto fin da gennaio: ma così non sarà e l’effetto potrebbe dunque arrivare a dimezzarsi. Lo Svimez evidenzia che i fondi per il reddito di cittadinanza non basteranno. La somma stanziata “consentirebbe di ampliare significativamente la platea dei destinatari rispetto all'attuale Reddito di Inclusione ma non di assicurare il raggiungimento della soglia dei 780 euro indicata dal Governo, in quanto il raggiungimento di tale soglia richiederebbe uno stanziamento di circa 15 miliardi” (il reddito di cittadinanza inoltre “sarà assorbito per il 63 per cento nel Mezzogiorno”).

 

Pensioni

Quota 100, anch’essa non descritta nei dettagli dalla legge di bilancio ma solo finanziata con quasi 7 miliardi di euro, secondo l’Inps “porterà ad avvantaggiare soprattutto gli uomini, con redditi medio alti e i lavoratori del settore pubblico”. Sarebbero invece penalizzate le donne “tradite da requisiti contributivi elevati” dalle penalizzazioni richieste con l’opzione donna, quando “ora per lo più gli uomini potranno andare in pensione prima senza alcuna penalizzazione”. La misura premierebbe infatti in 9 casi su 10 gli uomini, e quasi in un caso su tre lavoratori che hanno un trattamento pensionistico superiore a quello medio. Tito Boeri ha suonato il campanello d’allarme anche per l’equilibrio del sistema previdenziale, per via del pericolo rappresentato dai più di 400mila potenziali pensionamenti aggiuntivi proprio in concomitanza con il pensionamento delle generazioni di baby boomers. E’ un’operazione che causa un aumento della spesa pensionistica “anche nel caso in cui ci fosse davvero una sostituzione uno a uno tra chi esce e chi entra nel mercato del lavoro”. Il governo porterebbe a un incremento del debito pensionistico dell’ordine di 100 miliardi destinato a essere pagato dalle future generazioni. “Il rischio è minare alle basi la solidità del nostro sistema pensionistico” ha detto Boeri. Molto duro il commento del Fmi sulla controriforma delle pensioni: “La spesa pensionistica italiana, la seconda più alta nella zona euro, ha sottratto risorse per gli investimenti pubblici e per una moderna rete di sicurezza per i poveri. Il carico fiscale cade su una base ristretta, il lavoro è pesantemente tassato, mentre la ricchezza non lo è. Queste politiche favoriscono le generazioni più anziane a scapito di quelle più giovani”. Il ritiro anticipato non servirà neppure a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Non ci sarà alcuna “staffetta generazionale”, come promesso e auspicato dal governo: “Le analisi disponibili sugli effetti delle riforme pensionistiche del passato, che hanno posticipato l’età minima di pensionamento, – ha detto la Banca d’Italia in audizione – non consentono di sostenere che nel medio-lungo termine un aumento del tasso di occupazione dei lavoratori più anziani peggiori le prospettive occupazionali dei giovani, soprattutto nel settore privato”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali