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Perché bisogna educare un paese di creduloni

Alberto Brambilla

L’analfabetismo economico-finanziario è dominante in Italia e la politica ha cavalcato il “popolo del risparmio tradito”. Ma il problema sarà difficile da correggere

Lo scorso marzo allo show televisivo “Last Week Tonight” il comico americano John Oliver ha dato quella che probabilmente è la definizione di bitcoin più condivisibile da parte dei non iniziati: “Tutto ciò che non capisci del denaro combinato con tutto ciò che non riesci a capire di computer”. Le criptovalute hanno caratteristiche finanziarie, monetarie e tecniche uniche che le distinguono dalle valute e dagli strumenti di pagamento emessi dalle istituzioni finanziarie e dalle Banche centrali. Non hanno un’emittente le cui attività fungono da garanzia di valore.

 

Non hanno un tasso di cambio fisso garantito con la valuta emessa dalla Banca centrale, che costituisce la base dei sistemi di pagamento. Non sono monete, ma vengono usate come strumenti di investimento. Per il pubblico è molto più facile dunque comprenderne le escursioni di prezzo e le eventuali possibilità di guadagno. Bitcoin è stato valutato 0,001 dollari a meno di un anno dopo il suo lancio effettivo nell’ottobre 2009. Oggi vale circa 6.500 dollari, in calo rispetto al picco di 19.500 dollari circa a dicembre 2017. L’esplosione e la volatilità dei prezzi di bitcoin hanno contribuito ad alimentare la copertura mediatica attorno ai nuovi strumenti monetari e finanziari ovvero le criptovalute, di cui bitcoin è il più noto (ci sono oltre 2.000 di questi tipi di valute in tutto il mondo).

 

C’è stata una proliferazione di valute e investitori in un certa misura. L’idea di potere guadagnare molti soldi in poco tempo, con un investimento tutto sommato irrisorio, è di certo allettante. È un po’ come inseguire l’iride dell’arcobaleno fino a trovare la leggendaria pentola d’oro. Anche se poi non si sa bene come fare a trovarla, e nemmeno se la pentola sia lì ad attendere il cercatore all’estremità dell’arcobaleno. Parte del problema sta nell’atteggiamento “economico” umano – ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo –, altra parte del problema sta nella cultura finanziaria dell’individuo. Gli italiani non soltanto primeggiano in fatto di ricchezza privata accumulata, ma si distinguono anche per come riescono a farsi del male nell’investirla. In fondo, non c’è modo di salvare gli investitori incoscienti da sé stessi.

 

È significativo il caso della truffa piramidale Unetenet, ricostruita dallo studio legale internazionale Boccadutri, nella quale l’Italia è stato il paese più colpito su 78 coinvolti. Nel 2012 i due creatori, gli spagnoli José Manuel Ramírez e Pilar Otero, insieme ad altri, hanno promosso la presunta criptovaluta, l’Unete, attirando i clienti con la promessa di grandi guadagni lavorando da casa per promuovere il marchio, ma solo dopo avere corrisposto un investimento iniziale. Uno “schema Ponzi” che usava come esca la moda delle criptovalute, senza avere in realtà nulla a che fare con esse.

 

I soldi veri venivano trasferiti in paradisi fiscali e su conti in diversi paesi. Mentre la criptovaluta offerta, l’Unete, si è dimostrata senza valore, una falsa valuta virtuale, il cui rendimento annuo era pari a zero – non il 275 per cento di ritorno sull’investimento che era stato promesso. Secondo un rapporto dell’Unità di criminalità economica e fiscale, l’Italia – in particolare la Sardegna – è il paese che ha creduto di più al sistema Unetenet, seguita dalla Spagna, dagli Stati Uniti e dal Perù. Secondo i legali dello studio Boccadutri “è evidente come, di fronte all’allettante possibilità di guadagni facili, o comunque di fronte alla prospettiva di testare nuove monete, tutto il mondo è accomunato da un’inspiegabile fiducia” visto che nella lista dei paesi ci sono Repubblica Dominicana, Indonesia, Repubblica del Congo, Azerbaijan, Burkina Faso, Giappone e Canada.

 

L’Italia sembra presentare una vulnerabilità maggiore di altri: se è comune la fascinazione per un guadagno rapido e cospicuo, la scarsa capacità di comprensione del meccanismo per cui ad alti rendimenti di un investimento corrispondono (ovviamente) alti rischi, pare una peculiarità nazionale. I risparmiatori italiani sono stati i più colpiti dal default dell’Argentina nel 2002 rispetto ad altri investitori internazionali. Sono rimasti scottati dai default dei primi anni Duemila sui bond Parmalat e Cirio, offerti come sicuri ma che avevano come sottostante società in sofferenza.

 

Oppure, ultimamente, è noto che il peso delle obbligazioni bancarie detenute dalle famiglie italiane sul totale delle loro attività finanziarie è tra i più elevati al mondo. E’ un’attività di investimento tradizionale per le famiglie italiane, ma l’investimento in obbligazioni bancarie subordinate è diventato rischioso dall’entrata in vigore della direttiva che introduce il bail-in, per cui anche agli obbligazionisti vengono inflitte perdite in caso di ristrutturazione della banca. I risparmiatori che si sentono traditi e chiedono rimborsi a carico della collettività avrebbero potuto comprendere i rischi relativi all’investimento, oppure avrebbero dovuto essere informati.

 

La politica, il M5s e Lega in particolare, hanno cavalcato il “popolo del risparmio tradito” volendo dare ristoro agli investitori incauti. Se proprio si vogliono dare rimborsi, lo subordinasse a corsi accelerati di rudimenti finanziari perché, oltre all’ingordigia, il problema sta appunto nella cultura finanziaria del risparmiatore-investitore. Fabio Panetta, vicedirettore di Banca d’Italia, parlando di bitcoin, ha detto che “occorre innanzi tutto lavorare sull’informazione, illustrarne le caratteristiche e i rischi”. Ma questo vale per qualsiasi strumento di investimento.

 

L’analfabetismo economico-finanziario, matematico e funzionale degli italiani è molto elevato a livello europeo e addirittura mondiale. E questo spiega la facile manipolabilità nel collocare prodotti finanziari “pacco” (e nel manipolare l’opinione pubblica a seconda della convenienza). Con ritardo, l’Italia ha stabilito un percorso di educazione finanziaria e, a partire da ottobre, sono state promosse iniziative in tutto il paese: le attività sono coordinate da un comitato composto anche da ministero dell’Economia, Consob, Covip, Banca d’Italia. Sono molti organismi a occuparsene. Sperando che le energie non vadano disperse, la divulgazione è un buon inizio. Il problema italiano potrebbe però essere più faticoso da correggere. Magari con percorsi scolastici permanenti, fin da giovane età, per non vivere più in un paese di creduloni.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.