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La manovra italiana è un ordigno contro le libertà dell'Europa

Giuliano Ferrara

Perché l’integrazione dei mercati e la dinamica della pace sono diventati valori negoziabili? Cos’è la vera sfida del sovranismo

Ritorno sul saggio di Adam Tooze, che tra l’altro è nipote di una celebre spia sovietica del gruppo di Oxford alla quale ha dedicato una sua opera, perché il sangue non è acqua e al nonno comunista andava reso omaggio. Sulla London Review of Books di settembre Tooze recensisce una nuova biografia di Keynes, autore Geoff Mann. Ieri ci ha fatto da guida con una sua citazione del grande riformista liberale del 1936, anno di pubblicazione della sua teoria che ha rigenerato e rilanciato su scala mondiale l’interventismo statale nell’economia allo scopo dichiarato di rendere compatibile la democrazia con il capitalismo.

 

La citazione era questa: “Lasciamo che le merci siano prodotte in casa ogniqualvolta è possibile e conveniente, e sopra tutto lasciamo che la finanza sia principalmente nazionale”. Potrebbe essere una dichiarazione di Trump o il programma della Lexit, Left più exit, la dis-integrazione dell’Unione europea su presupposti antimercatisti, per dirla con Giulio Tremonti o Varoufakis o Mélenchon. Paolo Savona, che dà una mano al governo Salvini-Di Maio dopo aver dato una mano o mezza mano a un governo Ciampi, può forse essere annoverato nel circolo dei lexiteers keynesiani.

 

Dicono che l’Unione è espressione dell’Europa dei mercanti, dei banchieri, dei finanzieri, degli establishment economici liberali o liberisti, amici delle regole virtuose ma diffidenti delle viziose autarchie finanziarie, degli indebitamenti, dell’uso sociale improduttivo della spesa pubblica. E’ così. La controriforma delle pensioni, i sussidi pubblici al reddito, i condoni, le politiche fiscali permissive e incuranti dell’equilibrio dei conti eccetera ai mercanti, ai finanzieri, ai banchieri e agli establishment non piacciono; le manovre sovraesposte sul piano del deficit strutturale interferiscono con l’ordine o l’equilibrio dei mercati, che invece hanno bisogno di riforme modernizzanti capaci di limitare l’invadente intraprendenza della mano pubblica, dunque i Commissari di Bruxelles le correggono o addirittura le bocciano.

 

Non si riflette abbastanza sul fatto che questo tipo di Unione europea è la cornice di un esperimento di democrazia liberale, oggi isolato nel mondo e contestato anche dall’interno dell’Unione, che ha puntato tutte le sue carte, dopo la vittoria alleata nell’ultima guerra mondiale, su una dinamica di pace, di prosperità diffusa e di libertà individuale e diritti, in un quadro di progressiva integrazione degli stati nazionali e di costruzione di un ordine politico sovranazionale. E’ così che, con la fine del comunismo sovietico, l’Europa si è allargata alla Germania est e ai paesi dell’ex Patto di Varsavia, dittature del partito unico. E’ così che le generazioni del Secondo dopoguerra si sono abituate a considerare come un tutto organico le libertà economiche, lo sviluppo con le sue diseguaglianze temperate dal welfare, la circolazione libera di merci capitali e persone, le libertà politiche del famoso stato di diritto in un quadro di alleanza atlantica tra l’asse franco-tedesco, aggregata l’Italia come terza economia del continente, e l’anglosfera da Londra a Washington. 

 

La moneta unica, più che l’integrazione politica, è stata il coronamento e lo strumento di questo progetto, giusta o sbagliata che la si voglia considerare nell’ordine delle priorità: non abbiamo un governo europeo, ma abbiamo una banca europea che batte a Francoforte la moneta di un vasto numero di paesi nel cuore dell’Unione.

 

La manovra italiana è un ordigno esplosivo piazzato alla base di questa macchina economica, finanziaria, politica e di mercato. Il suo scopo è una finanza nazionale e la ridefinizione homespun, fatta in casa, dell’intero ciclo economico. In nome del popolo sovrano, contro la globalizzazione di mercato che dimentica i deboli.

 

Ora è il momento di introdurre una seconda citazione fatta da Adam Tooze. E’ il Keynes che sempre nel 1936, nella prefazione all’edizione tedesca (tedesca) della sua teoria generale, mentre il Reich adotta le sue politiche di pianificazione attiva, afferma: la teoria qui esposta “è molto più facilmente adattabile alle condizioni di uno stato totalitario” di quanto non lo possa essere una teoria economica “concepita entro le condizioni di una competizione libera e una rilevante misura di laissez-faire”. Tooze commenta rilevando che Keynes era una persona seria, conosceva l’ambiguità della sua idea di interventismo statale dal punto di vista politico, e “sapeva chiaramente che l’allineamento della macroeconomia keynesiana con la democrazia politica era un effetto della vittoria alleata, non il risultato di una intrinseca affinità politica o intellettuale” (Keynes muore nel 1946, subito dopo quella vittoria). La vittoria alleata è un ricordo lontano, Trump e Putin sono vicini, il potenziale presidente a vita di uno stato a partito unico, Xi Jinping, è il più cospicuo titolare nel mondo di un esperimento keynesiano di regolazione dall’alto di un’economia di mercato, come Tooze ricorda e argomenta. Con questo non voglio dire che un’Europa rinazionalizzata nelle sue politiche economiche, che trovi nuovi livelli di eguaglianza a spese dei notevoli orizzonti di libertà mercantile e civile fin qui delineati, debba diventare un mostro totalitario, sarebbe grottesco: più realista limitarsi a constatare che se togli la libertà di mercato e il sistema dei diritti e degli scambi sovraordinato all’Europa com’è, bè, è probabile, Orbán e il Truce a parte, che ti ritrovi con una democrazia illiberale come molti nazionalpopulisti e antieuropeisti della sinistra più o meno chavista la sognano.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.