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Gli investimenti pubblici servono agli esportatori?

Il governo Lega-M5s ha convocato le partecipate di Stato per dirigerne le politiche di investimento verso opere pubbliche in modo da spingere la crescita del pil. Migliorerà la competitività delle imprese private?

Marco Fortis, Fondazione Edison

 

Gli investimenti pubblici possono di certo aiutare le imprese esportatrici. Non direttamente, ma gli investimenti in infrastrutture tradizionali e avanzate hanno ricadute positive sia in termini di miglioramento della efficienza della produzione sia in termini di velocità di consegna delle merci. Gli investimenti pubblici in infrastrutture non sono necessariamente un traino di per sé, ma possono aiutare. Spesso sentiamo dire che mancano i collegamenti internet nella maggiore parte delle piccole e medie imprese del nord, per esempio. E’ difficile, poi, immaginare che l’Italia possa lavorare bene in Europa senza investimenti massicci nelle reti stradali e ferroviarie. Si pensa che alcuni collegamenti siano già fatti e operativi, come il Terzo Valico, invece ancora non sono funzionanti ma sono essenziali per fare in modo che il paese sia connesso con i grandi snodi commerciali europei, come il porto di Rotterdam. Inoltre è evidente che il traffico di merci su gomma sia elevato, ce ne accorgiamo ogni volta che viaggiamo in autostrada. E quando vengono fatti investimenti mirati per ovviare al problema, penso al passante autostradale di Venezia-Mestre, abbiamo avuto il duplice effetto di ridurre la congestione del traffico riducendo i problemi per i cittadini e di velocizzare i commerci su gomma verso l’Austria e l’est europeo. Non sono una panacea ma gli investimenti pubblici in infrastrutture sono di grande importanza per gli esportatori.

No

Carlo Stagnaro, Istituto Bruno Leoni


Alle imprese esportatrici serve una sola cosa: essere lasciate sole. I buoni investimenti infrastrutturali, quelli che servono davvero, normalmente si ripagano attraverso il loro stesso utilizzo. Piuttosto, lo stato dovrebbe concentrare tutte le sue risorse, umane e finanziarie, nell’offrire alle imprese la più importante e carente delle infrastrutture: regole certe e affidabili, un sistema giudiziario ben funzionante e migliore capitale umano in uscita da scuole e università, soprattutto al sud. Processi lunghi e imprevedibili, farraginosità burocratica, regolamentazione anti concorrenziale e gap educativo sono, più della pressione fiscale, ciò che ostacola gli imprenditori e divora gli utili delle aziende, riducendone la capacità di investimento e innovazione. Spesso la politica tende a confondere il sostegno alle imprese con la loro eterodirezione: da qui derivano i tentativi più fantasiosi di partnership pubblico-private e qui nascono policy e finanziamenti che puntano a sussidiare in modo del tutto arbitrario questo o quel prodotto o processo produttivo. Tali iniziative, anche quando ben intenzionate, finiscono per spiazzare gli investimenti privati, falsando il calcolo economico e determinando corsie preferenziali per specifiche tecnologie o soluzioni organizzative. Se l’Italia ancora cresce è solo grazie a una fascia di imprese competitive e internazionalizzate: imprese che ce l’hanno fatta e che chiedono di non essere disturbate. Non hanno bisogno che nessuno gli dica cosa fare e come farlo. Lo sanno benissimo e lo dimostrano ogni anno nei propri bilanci. Serve uno Stato che faccia poche cose e bene.

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