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Dopo Ilva Di Maio dovrà sistemare la rotta (tedesca?) di Alitalia

Andrea Giuricin

Nel solo primo semestre del 2018 la compagnia ha perso 315 milioni di euro, quasi due milioni al giorno. I tedeschi sono ancora alla finestra per cercare di comprendere dove questo governo abbia intenzione di andare

Roma. Archiviata la vertenza Ilva, si riapre la partita per la cessione di Alitalia. Il governo Lega-M5s deve affrontare velocemente una situazione in deterioramento. Nel solo primo semestre del 2018 la compagnia ha perso 315 milioni di euro, vale a dire quasi due milioni di euro al giorno.

 

Alitalia ha visto crollare la sua quota di mercato a sotto il 15 per cento nel primo semestre, e per quanto riguarda il mercato internazionale – il più importante – la compagnia italiana trasporta meno di un passeggero su undici, meno anche di Ryanair, Easyjet e anche Lufthansa.

 

Proprio quest’ultima, la compagnia tedesca, è quella che è da tempo interessata a prendersi Alitalia: i tedeschi sono ancora alla finestra per cercare di comprendere dove questo governo, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, in particolare, abbia intenzione di andare. Ma è chiaro che più passa il tempo, meno potere contrattuale rimane all’Italia.

 

Nel mondo aereonautico attuale, una posizione stand alone è totalmente suicida. Dove va un piccolo vettore da 20 milioni di passeggeri l’anno, di fronte ai colossi che ne trasportano quasi 140 milioni?

  

Come ricordava anche l’ad di Ferrovie dello stato, Gianfranco Battisti, al Sole 24 Ore, “la prima scelta strategica per Alitalia dev’essere individuare un partner aeronautico che consenta di sviluppare al meglio il lungo raggio”. Battisti non sembra escludere un coinvolgimento di Fs stessa del quale però non si comprende la logica industriale. Gli accordi treno-aereo già esistono, mentre da un punto di vista operativo l’integrazione deve fare fronte a problemi tecnici-operativi non facilissimi. L’unico ruolo di Ferrovie sarebbe quello di finanziatore, o meglio, di catalizzatore di investimenti attraverso l’emissione di obbligazioni sul mercato. Sarebbe, in questo caso, il partner economico, l’investitore di ultima istanza per una compagnia che perde circa mezzo miliardo di euro. E, probabilmente, anche Fs ci rimetterebbe in termini di reputazione sul mercato e un ulteriore onere per il contribuente italiano con una pseudonazionalizzazione. E’ questo che Di Maio vorrebbe? Ma soprattutto, perché avere una compagnia a gestione pubblica in un mondo che vede attori privati battagliare in maniera molto dura? Come ricordavamo i passeggeri da e per i mercati internazionali scelgono in maniera molto limitata Alitalia (8,5 per cento la quota di mercato), ma l’Italia vede invece una forte crescita del suo traffico.

  

La liberalizzazione europea ha permesso la crescita del mercato aereo italiano e anche dei vettori stranieri. Un esempio interessante è la connessione con il mercato cinese da Roma Fiumicino. Delle venticinque connessioni settimanali verso otto destinazioni cinesi differenti, zero sono quelle connesse da Alitalia. Sono Air China, China Southern o China Eastern, grandi colossi del mondo aereo che connettono la Cina all’Italia, perché il mercato italiano rimane attraente. E proprio Air China è l’ultima pretendente, secondo alcune voci del governo: tuttavia un partner extra-Ue avrebbe la stessa limitazione di Etihad al 49 per cento e non potrebbe averne il controllo. I cinesi, poi, come tutti, non fanno beneficenza. Senza contare che Xi Jinping espresse perplessità all’esecutivo Gentiloni perché le notizie di sindacati difficili da gestire erano giunte fino a Pechino. Quale partner privato potrebbe essere socio di minoranza dei ministri Danilo Toninelli e Di Maio se lo stato resta in Alitalia? Indubbiamente le rassicurazioni circa Alitalia devono essere messe alla prova dei fatti, ma mentre il tempo passa, le soluzioni sembrano essere sempre più a carico del contribuente: 900 milioni di euro del prestito ponte in buona parte sono già stati persi. L’importante, ora, è non fare perdere interesse ai potenziali investitori internazionali.

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