Foto xylexpo.com

Beato chi se lo fa, il robot

A Rho la fiera delle macchine per il legno. In mostra la tecnologia più avanzata che dietro le quinte produce i Compassi d’oro, e non solo

Finita la sbornia del Salone del Mobile, a Milano è come se si celebrasse un “dietro le quinte”, come se la sovrastruttura lasciasse il posto alla struttura. Dopo l’esibizione dei Compassi d’oro, adesso scendono in campo quelli che i mobili li costruiscono davvero; in definitiva, i robot.

  

Sotto le architetture vagamente da Corea del Nord di Fuksas, ecco partita a Rho la ventiseiesima “Xylexpo, biennale mondiale delle tecnologie per la lavorazione del legno e dei componenti per l'industria del mobile”, titolo lungo e altisonante per questo eventone magari non molto cool (in attesa della più celebrata Biennale di Architettura di Venezia di fine mese), e però forse più sostanziale, e celebra quest’anno i suoi 50 anni. La prima edizione nel 1968, dunque mentre mezzo paese fabbricava molotov, l’altra metà progettava sofà. Così cinquant’anni dopo nuove divisioni, mentre metà paese discute di consultazioni e governi balneari, nella Repubblica Padana che è uscita dalla crisi si alzano fatturati lasciando poco spazio al luddismo.

  

Il robot non fa per niente paura, infatti, tra i mobilieri. Entrando, tra ante e porte e antelli e pannelli che vengono titillati, segati, roteati e issati in alto da bracci meccanici di qualunque foggia, colore e dimensione, sembra un bellissimo show futurista, perfetto pendant contemporaneo del “Post Zang Tumb Tuuum” esposto alla Fondazione Prada, qui senza nemmeno l’art direction di un Germano Celant, ma con tubi e cavi e meccanismi anche più tecnologici della torre di Rem Koolhaas (dove nel frattempo negli stessi giorni l’ascensore è fuori uso, e anziane signore ansimano per arrivare al decimo piano e fotografarsi tra le amanite falloidi di Carsten Höller - avesse almeno messo uno scivolo per tornare giù, come in ufficio dalla Miuccia, invece sono altri dieci piani a piedi a scendere). Ma qui a Rho l’orgoglio robotico, il robot pride, va in scena senza guasti, flawless. “L’industria delle macchine per il legno italiana è tra le maggiori del mondo”, dice al Foglio Dario Corbetta, direttore generale di Acimall, l’associazione dei costruttori italiani di tecnologie per la lavorazione del legno. “Esportiamo il 70 per cento della produzione e il settore sta subendo una trasformazione profonda. Ha subito fortemente la crisi economica, ma poi ha saputo rinnovarsi grazie alla digitalizzazione e alla robotizzazione, anche approfittando delle misure di Industria 4.0”. Fa impressione davvero come, mentre dei cristiani montano gli stand, in mostra ci sono praticamente solo bracci automatizzati. “Sono strumenti di qualità per produrre manufatti di qualità” dice Corbetta. “Certo la paura del robot è comprensibile”, aggiunge, “ma in realtà crea più opportunità per tutti. Magari si perderà qualche posto di lavoro tra le produzioni meno sofisticate, ma se ne creano in maggior numero a monte. Tra chi crea i robot stessi, chi li progetta. Un’attività meno ripetitiva, più creativa, a maggior valore aggiunto”.

   

Il settore ha perso molto con la crisi (circa il 40 per cento) ma adesso si è ripreso assai bene, e questo proprio grazie alla tecnologia: che opera in tutte le fasi, dice Corbetta. “Dalla lavorazione primaria del legno, cioè il taglio, alle fasi successive, della lavorazione del pannello e della rifinitura”. Gli espositori, per questa ventiseiesima edizione, sono 430, sparsi per 4 padiglioni spalmati su 35mila metri quadri. I visitatori attesi sono 20mila, gli ingressi complessivi 40mila, di cui “il 30 per cento arriveranno dall’estero”. E saranno presumibilmente tutti umani.

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