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Rabbia e confusione al G20 per la Bitcoin mania

Alberto Brambilla

In Argentina si discute per la prima volta la regolamentazione delle criptovalute. Gli stati sono determinati, i banchieri sono un po’ criptici

Roma. Non è una sorpresa che nell’anno della Bitcoin mania la regolamentazione delle valute digitali sia nell’agenda dei ministri delle Finanze e banchieri centrali che si incontrano al G20 in Argentina, a Buenos Aires, nei prossimi due giorni. Le discussioni verteranno sul pericolo che le valute digitali pongono per gli stati nazionali in quanto veicolo potenziale per il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale, oltre che per il finanziamento del terrorismo e del narcotraffico. 

 

I punti della discussione non sono noti. Tuttavia un documento pubblico, rivelato dal sito CoinDesk, discute delle implicazioni mondiali delle valute virtuali e della tecnologia Blockchain sottostante per validare le transazioni tra anonimi senza necessità di un’autorità centrale. “La questione è un importante punto dell’agenda di incontri, i delegati considereranno una risposta comune che ambisce a mitigare i rischi senza scoraggiare l’innovazione”. La Blockchain, dice il testo, “ha il potenziale per promuovere l’inclusione” ma “è importante analizzare le implicazioni per la stabilità finanziaria, l’evasione e attività finanziarie illecite”. 

 

La Financial Action Task Force, un gruppo di 37 nazioni costruito all’interno del G7, condividerà le sue analisi aggiornate sul modo in cui le valute digitali vengono usate per riciclaggio di denaro. Il Giappone in particolare sta spingendo in sede G20 affinché si arrivi a uno schema di regolamentazione condiviso per contrastare illeciti. 

 

Il Giappone è stato il primo paese a creare un sistema nazionale di supervisione al trading di criptovalute, il cui valore in circolazione è cresciuto nell’ultimo anno. La Japanese Financial Services Agency, l’autorità integrata di supervisione del sistema finanziario e bancario, ha fatto diverse indagini nell’ultimo anno, su 32 exchange, Coincheck, ma la questione si è fatta più pressante dopo l’hackeraggio all’exchange Coincheck. Quest’ultimo è stato il furto più importante finora con un valore pari a 550 milioni di dollari rubati in tre cryptovalute (Monero, Zcash, Dash). Una parte di questo valore potrebbe essere stato usato per compravendite nel darkweb. 

 

Il Financial stability board, un organismo internazionale che monitora i rischi per la stabilità finanziaria mondiale, ora presieduto da Mark Carney, che è anche governatore della Bank of England, ha comunicato al G20 che non considera Bitcoin e altre valute digitali come un pericolo facendo salire il valore della criptovaluta più famosa e usata. “Anche con il recente picco, il valore combinato delle criptovalute  è meno dell’1 per cento del pilo mondiale. Per fare un confronto prima della crisi finanziari mondiale il valore nozionale del credit default swap era pari al 100 per cento del pil mondiale”, dice il Fsb. 

 

Secondo un funzionario coinvolto nei colloqui, contattato da Reuters, le possibilità che i leader finanziari del G20 riescano a concordare specifiche regole globali per poi menzionarle in un comunicato congiunto sono scarse, date le differenze nell'approccio di ciascun paese. E’ possibile, secondo indiscrezioni, che nel comunicato finale venga affermato che non sono ammissibili criptovalute emesse da stati sovrani. Nell’immediato si riferirebbe al Venezuela, unico stato ad averne emessa una, il Petro. E’ da vedere quale sarà l’impatto sulle Banche centrali che eventualmente vorranno emetterne una loro.

 

E’ l’Amministrazione americana l’unica ad avere preso una decisione pratica mentre il Segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, raggiungeva Buenos Aires per il forum. Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo, con effetto immediato, che appunto vieta ai cittadini americani di comprare il Petro venezuelano, che è anche la prima criptovaluta emessa da uno stato sovrano. Il Venezuela di Nicolás Maduro è nel mezzo di una crisi umanitaria ed economica senza precedenti e generata dalla malagestione delle risorse pubbliche del paese petrolifero sudamericano. Il Petro è una valuta virtuale che ha come sottostante il prezzo del petrolio e la sua creazione è un’azione disperata per cercare di aggirare i vincoli sanzionatori via via imposti dagli Stati Uniti creando un sistema di pagamenti e transazioni finanziarie parallelo a quello tradizionale. L’amministrazione Trump aveva in precedenza vietato agli investitori americani l’acquisto di titoli di stato venezuelani e della Pdvsa, la compagnia petrolifera di stato.

 

Se per gli stati nazionali è tutto sommato condivisa, com’è comprensibile, la volontà di trovare una cornice regolamentare per contrastare l’evasione fiscale, tra i banchieri privati e i banchieri centrali invece la confusione è molta. “Uno schema Ponzi”, “una bolla”, “una frode”. Non hanno fatto segreto di come la pensano i banchieri. Tuttavia le posizioni sono varie e in particolare le opinioni dei banchieri centrali sono le più controverse. 

 

Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ha avvertito che le valute digitali hanno il potenziale di rendere le crisi finanziarie anche più devastanti. Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, di cui Weidmann è un potenziale successore, dice che l’impatto delle cryptovalute è limitato e non costituiscono un problema. Tuttavia Weidmann sostiene che le Banche centrali alla fine creeranno le loro valute digitali per rassicurare i cittadini sul fatto che sono stabili e sicure. La Bce ha premiato per il video concorso #EuroVideoChallenge un explainer critico delle criptovalute che, però, alla fine non esclude in futuro vedremo “Valute digitali delle Banche centrali” ma “per ora è saggio tenere gli euro”. Nessuna banca centrale ha finora introdotto sue valute virtuali, ma la svedese Riksbank, la più antica e quella più all’avanguardia, ha detto che potrebbe emettere a breve la e-krona, una versione digitale della Corona svedese. La Bank of England ha creato una divisione specifica per le valute digitali, anche se il governatore Mark Carney è critico di Bitcoin e affini. 

 

Le opinioni dei banchieri centrali sono sostanzialmente negative ma le intenzioni non sono chiare. Al punto che la Banca dei regolamenti internazionali, foro di dialogo delle banche centrali, ha pubblicato un'analisi che suona come un avvertimento, firmato dall’analista della Bce Klaus Löber e Aerdt Houben della banca centrale olandese. Secondo la Bri, le banche centrali che emettono criptovalute potrebbero minacciare la stabilità del sistema finanziario globale perché quelle valute potrebbero diventare rivali delle valute regolari perché sottrarrebbero liquidità alle sistema bancario commerciale. "L'introduzione di una moneta digitale della banca centrale solleverebbe questioni fondamentali che vanno ben oltre i sistemi di pagamento e la trasmissione e l'attuazione della politica monetaria", dice la Bri. "L'introduzione di una moneta digitale della banca centrale potrebbe comportare una più ampia presenza di banche centrali nei sistemi finanziari". Ciò a sua volta potrebbe portare a "un maggiore ruolo delle banche centrali nell’allocazione delle risorse economiche, che potrebbe comportare perdite economiche complessive nel caso in cui tali entità fossero meno efficienti del settore privato nell'assegnare risorse”. Le principali autorità mondiali hanno insomma intenzione di domare Bitcoin & Co. ma sarà difficile arrivare a un accordo sul “se” farlo e sul “come” riuscirci.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.