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Arrendetevi declinisti, siete circondati dai dati

Redazione

Si conclude la migliore legislatura per l’economia post-crisi. Analisi Censis

La peggiore legislatura di sempre? Se leggete certi titoli di giornale e se date retta ai Luigi Di Maio, ai Matteo Salvini, ai Massimo D’Alema, questo è il giudizio che merita il Parlamento che Sergio Mattarella si accinge a sciogliere per tornare alle urne. Peccato che a guardare i dati il quadro si capovolga. Il Censis, su cifre di Banca d’Italia, Istat e Infocamere, mette a raffronto l’Italia uscita dal 2012 con quella che sta per uscire dal 2017. I risultati sono un pil passato da un segno meno del 2,8 per cento a un segno più tra l’1,5 all’1,7 e una ricchezza reale che ha recuperato tra i 4,3 e i 4,5 punti, cioè 72 miliardi. A conferma il pil pro capite è salito di 379 euro nonostante che i residenti, e quindi la torta di ricchezza da spartire, siano a loro volta aumentati: da 59.394.207 a 60.589.445, con un saldo attivo di 1,195 milioni. Molti (un milione) stranieri, ma non tutti. La spesa pro capite per consumi è passata da un trend negativo del 4 per cento a fine 2012 a uno positivo dell’1,7 a fine 2017: 5,7 punti di differenza.

  

Quanto al lavoro, il 2012 aveva raccolto l’eredità della prima violenta recessione post 2008 raggiungendo l’11,2 per cento, e il 2017 dovrebbe chiudersi intorno all’11, dopo però aver raggiunto nel 2013 il 13 per cento, e il 42,4 tra i giovani. Ciò che soprattutto allora preoccupava era il costante calo sia dell’indice di occupazione sia dei posti di lavoro (mezzo milione persi nel 2012). La tendenza si è invertita dal 2014, e qui i detrattori del Jobs Act hanno poco da dire: da febbraio di tre anni fa, quando la legge è entrata in vigore, i nuovi occupati sono 918 mila, per il 60 per cento permanenti. I giovani disoccupati sono il 34,7 per cento, circa dieci punti meno d’inizio legislatura. Soprattutto il tasso di occupazione (quanti lavorano tra la popolazione tra 15 e 64 anni) ha raggiunto il 67,1 per cento tra gli uomini e il 49,1 tra le donne, il livello più alto da quando (1977) viene rilevato; benché siamo distanti dalle migliori performance europee. Le obiezioni sono che si tratta di contratti precari. Non è così: caso mai si può discutere se incidano più gli sgravi contributivi o la riforma dell’articolo 18. Non solo. “Il meglio deve ancora arrivare, e saranno i prossimi governi a raccogliere i frutti di quanto fatto in questi anni” dice al Sole 24 Ore Riccardo Gallo, economista industriale, commentando i record della manifattura italiana. A fine 2017 il fatturato del settore macchinari ha raggiunto i 45,99 miliardi rispetto ai 39,66 non del 2012 ma dell’ “anno d’oro” 2008. Una crescita dell’8,2 per cento che trova riscontro in quella dell’export (7,2) delle consegne interne (10,4) e del consumo (9). Sono dati “cinesi” per i quali Gallo attribuisce parte del merito al piano Industria 4.0 voluto dal ministro Carlo Calenda: “Ora serve una formazione costante e adeguata per mantenere il ritmo”. Al lordo della propaganda elettorale, molto non torna nel catastrofismo e nei piagnistei dei grillini e della gauche declinista.

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